giovedì 26 ottobre 2017

Pizzo Varrone – Lastrone N-W + Versante Sud

Ci sarebbe molto da (ri)scrivere su questa elegante vetta poiché negli ultimi anni i molteplici smottamenti hanno mutato la conformazione aumentando le difficoltà di salita della via “normale” laddove un tempo erano state posizionate alcune catene.
La ferrata da parecchi anni è in disuso perciò abbiamo deciso di proporre come via di salita l’estetico Lastrone Nord-Ovest.

Ottobre 2017
Alcuni lo chiamano “Pizzo” mentre altri ne proferiscono come "il Dente”.
Scrisse Silvio Saglio: “Slanciato ed elegantissimo dente roccioso a settentrione della Bocchetta Piazzocco.
È costituito da tre ammassi rocciosi: quello meridionale, denominato Varrone delle Vacche perché fino al Culmine si possono pascolare gli armenti, forma lo spartiacque che separa gli impluvi della Valle di Biandino, della Valle dell’Inferno e della Val Varrone; quello centrale quale imponente dente roccioso s’eleva con la vetta, sormontata dalla croce, e quello settentrionale è un avancorpo che si sprofonda con un vasto piano inclinato verso la testata della Val Varrone. 
Questa vetta è formata da una scaglia di scisti di Collio, incastrata nei circostanti conglomerati del Verrucano, che verso Sud si estendono fino a costituire il Pizzo dei Tre Signori”.
La toponomastica è alquanto confusa: anticamente era nominato “Pizzo delle Ferriere” per la presenza di minerali di ferro e infatti diverse furono le gallerie realizzate nelle sue viscere per l’estrazione del ferro spatico*, rinchiuso nelle arenarie maculate inferiori, cementate da argille ferruginose.
Da un documento riportato di un anonimo del 1600-1700 le miniere avrebbero avuto addirittura uno sviluppo di qualche centinaio di chilometri.
E’ fondamentale questo documento perché ci riporta ai tempi in cui questi monti erano coperti da numerose foreste che furono immolate per fondere il ferro che veniva portato a vale già notevolmente purificato.
La lavorazione dev’essere cominciata ai tempi dell’impero Romano verso il 300 a.C.; a tale epoca risalgono infatti le iscrizioni romane ritrovate a Introbio.
In quei tempi veniva chiamato “Varrone” tutto il gruppo e specialmente la cima più alta, l’attuale Pizzo dei Tre Signori. Molto più tardi, quando su quest’ultima cima confinarono gli stati di Milano, di Venezia e dei Grigioni, la nostra cima prese il nome di “Piodiscione di Trona” a causa della struttura della stratificazione rocciosa.
In seguito tale toponimo si spostava alla costiera che si alza nell'opposto versante della Valle dell’Inferno, rimuovendo quello del Pizzo Vespolo e si affermava per questa cima quello di Pizzo Varrone che si ritiene di origine romana.
La via “normale”, denominata Via Banda (11 agosto 1923), non è banale e la sua valutazione può essere definita in mille modi tranne che… facile.
A tal proposito: “la prima via della montagna e per lungo tempo la via normale al Pizzo Varrone. Di fatto questa via, stimata comunque 3c, era storicamente limite massimo che sanciva la distinzione tra l’escursionismo impegnativo e l’alpinismo. Ai giorni nostri questa via sarebbe da evitare per le condizioni arrischiate della roccia”.
Molto tempo fa per facilitarne l’accesso posarono qualche catena in ferro che però, per difetto delle numerose frane e delle molteplici “fulminate” che da parecchi anni stanno lentamente e inesorabilmente mutando la conformazione della montagna, risulta ormai abbandonata ed estremamente pericolosa; molti infissi sono saltati e in certuni tratti la catena non esiste più. Inoltre lo smottamento è in continuo movimento perciò come via di salita abbiamo optato per il più impegnativo ma sicuro “lastrone”. La discesa invece l’abbiamo effettuata rapidamente dalla via normale con l’ausilio di un paio di calate a corda doppia per completare l’ennesimo giro ad anello semplicemente straordinario.
Per l’avvicinamento innanzitutto bisogna raggiungere il Rifugio Falc: da Premana, partendo dalla zona industriale e salendo per la Val Varrone in 3h 30m, da Laveggiolo ossia una frazione di Gerola Alta in 2h e 30m, direttamente da Gerola Alta partendo alla destra della centrale ENEL in 3h e 30m, da Pescegallo dal parcheggio della funivia in 3h circa oppure da Ornica transitando per la Bocchetta dell’Inferno in 3h e 30m circa.
Insomma, scegliete voi come e da dove!
Il mio consiglio è di partire da Laveggiolo transitando per il Rifugio Trona Soliva e la Bocchetta di Trona (2092 m).
Raggiunto il Rifugio Falc con un semicerchio in direzione Nord si perviene in una conca pietrosa contraddistinta da due canali uno dei quali sale alla breccia che separa il celebre lastrone del Pizzo Varrone dal Dentino. E’ facile riconoscerlo poiché segnalato con alcuni bolli bianco/rossi ben visibili guardando verso l’alto.
Il canale, angusto e ripido, conviene salirlo appoggiando inizialmente sulla sponda destra mentre nella parte alta spostandosi leggermente sulla sinistra.
Raggiunta la breccia è possibile salire al vicinissimo e peculiare “Dentino del Varrone”; i pochi metri ricchi di appigli e appoggi sono facili e resi sicuri dalla posa di una corda fissa.
Tornati alla breccia inizia la vera salita del lastrone solcato da una fessura/camino di roccia compatta.
La prima parte del lastrone è alquanto semplice e appoggiata e poco prima di entrare nella fessura vera e propria conviene allestire una sosta nei pressi di un comodo pianerottolo; chiodi in loco.
Si continua pertanto nel canalino superando facilmente i primi metri e poi si procede in spaccata per superare una gobba rocciosa che si presenta a metà salita.
Superata la gobba il camino diviene quasi fessura culminando ad un secondo confortevole ripiano piuttosto erboso dov’è stata predisposta una comoda sosta.
Da qui conviene salire obliquamente verso sinistra per uscire in cresta a pochissimi metri dalla vetta.
Per concatenare tutto il gruppo del Varrone la discesa, non banale e comunque da affrontare con la giusta preparazione, può essere compiuta dal Versante Sud laddove una volta, come scritto all’inizio del racconto, era stata posata una corta via ferrata.
Per rendere sicura la discesa noi abbiamo allestito due calate a corda doppia; una su chiodo con cordone poco sotto la vetta mentre la seconda su spuntone (lasciati due spezzoni di cordoni arancioni in loco).
Raggiunta la breccia che divide il Pizzo Varrone dal Varrone delle Vacche occorre scalare una breve paretina con passi nel limiti del II grado toccando infine la bucolica cima contrassegnata da una piccola croce (Varrone delle Vacche, 2290).
Da questa cima percorrendo un facile pendio erboso prima si tocca la Bocchetta di Piazzocco (2252 m) e poi, tramite segnavia CAI, si rientra al Rifugio Falc.
Nel caso non si volesse concatenare il Varrone delle Vacche evitando quindi la discesa dal Versante Sud è possibile tornare dalla via di salita con tre/quattro calate a corda doppia.
Insomma, la stagione 2017 non poteva concludersi meglio!

*Particolare struttura dei minerali non metallici, distinta da facile sfaldatura.


Il modo migliore per dare un senso alla sveglia puntata (troppo) presto. 


Dalla vera Bocchetta di Tona le forme invitanti ma soprattutto eleganti del Pizzo Varrone!


In mezzo al lastrone è ben visibile l'incisura-camino che scaleremo per raggiungere la vetta del Varrone.
Un altro bel regalo di questo autunno 2017.


L'inedito e autunnale colpo d'occhio dal "lastrone del Varrone".
Che le danze abbiamo inizio!


La prima parte della fessura-camino è divertente e di roccia molto bella.
Buona esposizione... belle sensazioni!


Gli orizzonti si ampliano; Pizzo Melaccio e Bocchetta di Trona da una prospettiva per me nuova!


La comoda sosta al secondo ripiano ampio ed erboso.


Il punto della "gobba" dove conviene superare con leggera spaccata tenendosi preferibilmente in fuori.
Roccia da standard altissimo per le Alpi Orobie!


Il Rifugio Falc a picco; salto, sfondo il tetto e ordino una birretta.
Anzi la prendo direttamente visto che è chiuso!


Superata la gobba, il camino si restringe e adduce ad un secondo ripiano ampio e comodo.
Che dire; ci voleva proprio un'ottobrata del genere!


L'uscita in cresta in direzione della cima è "dannatamente spettacolare".
Babba Bia!


(Tanto)³ ma proprio (Tanto)³ happy.
Un Varrone da sogno.
In tutti i sensi.


La ValVarrone in versione autunnale.
Super direi!


La prima breve e delicata calata a corda doppia per scendere dal Versante Sud.
Attenzione; la frana è praticamente in movimento perciò sconsiglio vivamente la salita da questo lato della montagna.
Per concatenare tutte le cime del Varrone noi siamo scesi ma velocissimamente.
E' tutta roba da guardare ma non toccare!


Dal Pizzo Tronella al Pizzo di Trona impreziositi dal Lago d'Inferno.
Si dai; anche oggi vince la bellezza!


Souvenir del Pizzo Varrone.
Messo dov'era, ossia in un tratto franato recentemente, ormai era inservibile (e quasi invisibile).
Chissà quante storie potrebbe raccontare!


Sulla seconda e ancor più delicata calata a corda doppia per scendere dal Versante Sud.
L'ennesimo scavalco DOC si sta completando!


Un tuffo e... via!


Ed ecco il Pizzo Varrone dal Varrone delle Vacche.
Bello, slanciato e marciotto.
Molto marciotto!


Gruppi del Tronella e del Mezzaluna vestiti con l'abito dell'autunno.
Torniamo con gli occhi stracolmi di bellezza.
Adoro la Val Gerola!


martedì 17 ottobre 2017

Pizzo del Diavolo della Malgina - Cresta Sud (Integrale)

Senz’ombra di dubbio la via più alpinista e scorbutica per raggiungere il Diavolo della Malgina; una cresta assolutamente non banale e in molti punti da interpretare.
Il regno è decisamente dell’esposizione e i panorami sono sempre di prim’ordine.
Sconsigliatissima a cordate numerose per l’alto rischio di lapidazione.
Quella che sto per raccontarvi è indubbiamente una delle traversate più belle e particolari della Valmorta; indiscutibilmente meno inflazionata delle più note traversate delle Cime di Cagamei, della Cresta di Valmorta e delle svariate salite al Pizzo di Coca.
La vicinanza di montagne più blasonate inoltre, il Coca sopra tutte, unita alla lunghezza del percorso la rendono poco appetibile seppur di rara soddisfazione.
Un unico appunto avverso debbo però rimarcarlo sulla pericolosità della roccia che si trova durante quasi tutta la cavalcata; precarietà ed esposizione richiedono ottima conoscenza nel sapersi muovere su terreni infidi nonché delicati.
Del Pizzo del Diavolo della Malgina, anticamente denominato semplicemente “Pizzo del Diavolo”, scrissero: corno a forme regolari ed eleganti, soprattutto dal versante valtellinese, determinate dalla regolare orizzontalità dei suoi strati di antichissimi micascisti premariani.
Formato dall’incrocio di quattro creste, due principali (occidentale e orientale) e due secondarie (meridionale e settentrionale).
Dalla vetta si ha un’amplissima vista”.

La cresta Sud, ovvero quella di collegamento con la Bocchetta del Cavrel*, offre una cavalcata “old style” laddove il profumo di pionierismo trapela da ogni singola rupe.
Per renderla ancor più completa ed emozionante abbiamo deciso di concatenare anche i pizzi Cappuccello e Cavrel per quella che s’è rivelata non un’avventura ma bensì un viaggio!
Disse Alfredo Corti: “questa cresta è lunga, con speroni e bastionate sui due lati, frequentemente visitati dai cacciatori di camosci (stiamo parlando degli anni ’50 naturalmente, nda).
Il tratto superiore della cresta è stato percorso in discesa nel 1900 da G. Castelli e A. Corti, e tutta la cresta, il 4 ottobre 1931 da A. Corti, G. Foianini e F. Perolari con G. Pirovano.
Il percorso.
Dal Rifugio Curò bisogna scendere ai piedi della diga del Barbellino dove si abbandona il segnavia 323 per imboccare il segnavia 303 che sale alla Bocchetta del Camoscio; la variante difficile del Sentiero delle Orobie.
Giunti in prossimità del piano di Valmorta, alcuni tratti con catene devono essere affrontati con riguardo, poco prima di toccare il grazioso laghetto basso di Valmorta si abbandona il segnavia CAI dirigendosi verso oriente, destra, salendo senza percorso obbligato (obliquando da destra a sinistra) fino a raggiungere una selletta nelle vicinanze di un evidente torrione con vista sul sottostante invaso artificiale del Barbellino.
Difficoltà vere e proprie non ve ne sono ed anzi, con un po’ di attenzione, è possibile agguantare il crinale un po’ dappertutto.
Dal colletto si segue la facile seppur affilata cresta verso Nord-Est giungendo alla base del Pizzo Cappuccello dove un facile canale conduce sotto la cima.
Al termine del canale si devia a sinistra per poi salire, tramite sfasciumi con passi nel limite del I grado, alla calotta terminale che porta senza eccessive difficoltà sulla panoramica vetta.
Dalla cima appoggiando preferibilmente sul versante Ovest e dopo aver oltrepassato una cengetta, percorso fatto in salita, si scende su rottami all’apertura tra il Pizzo Cappuccello e il Pizzo Cavrel e successivamente, tenendosi appena sul versante meridionale senza, si va sotto il filo di cresta e per l’erto pendio di roccette erbose si giunge al cono terminale che si rimonta direttamente (qualche breve passo di I grado).
Dal Pizzo Cavrel inizia il tratto di percorso più alpinistico della lunga cavalcata.
Dalla vetta si scende la cresta/spigolo Nord con cura appoggiando leggermente sul versante di Valmorta fino ad intercettare un chiodo che abbiamo lasciato in loco (autunno 2017) utile per realizzare una calata a corda doppia di una trentina di metri.
Terminata la calata nei pressi di un terrazzino di devia a destra, faccia a valle, e attraverso sfasciumi instabili si perviene ad un colletto posto alla base di una serie di pinnacoli tanto estetici quanto scorbutici.
I pinnacoli di roccia assai precaria vanno scalati attenzione, soltanto il secondo va aggirato sulla sinistra, portandosi in questa maniera alla Bocchetta di Cavrel dove in caso di maltempo e/o stanchezza è possibile tornare a valle.
Dalla bocchetta la roccia seguita ad essere incerta ed instabile presentandosi spesso sottile e di scisti fogliacei e nei pressi di un intaglio esposto caratterizzato da una recente frana è giocoforza scendere qualche metro sul versante Est per attraversare la grossa ganda e riprendere la cresta nelle vicinanze di una sella.
Prestare particolare impegno al sopradetto attraversamento poiché si muove (un po’) tutto!
Il percorso per pochi metri concede una tregua pervenendo sulla cima di una seconda quota contraddistinta da un costolone che s’abbassa verso la Valmorta sopraggiungendo successivamente ad un salto con un camino molto esposto e friabile dove si presentano due possibilità per continuare.
La prima possibilità, più difficile, consiste nello scendere con molta cautela il camino friabile mentre la seconda, più facile della prima perciò consigliata, consta nel tornare indietro di qualche metro e scendere il costolone per un centinaio di metri traversando in Valmorta e risalendo al colletto dove termina il camino friabile.
Più o meno si perdono gli stessi metri di dislivello, qualcosa in più se si opta per la seconda possibilità, quindi la decisione dev’essere rapportata alle proprie capacità.
Superato questo salto la roccia migliora sensibilmente lasciando spazio alla fantasia e toccando, finalmente, l’anticima meridionale del Diavolo della Malgina nei pressi del passo chiave della traversata descritto dal Saglio come “un unico e breve tratto difficile, ma di buona roccia, quasi a mo’ di due torri o tagli della cresta, divisi da una breccia, che richiedono una arrampicata alquanto ardua, si continua con facilità e moderata inclinazione fino alla vetta”.
Seguire quindi la cresta formata da qualche esposto pinnacolo fino ad un’evidente torrioncello laddove abbiamo lasciato “abbracciato” ad uno spuntone uno spezzone di cordone arancione necessario per calarsi con una doppia da 30 metri.
Salire quindi la successiva torre di ottima roccia, III, per infine uscire sull’ultima facile rampa che conduce sulla vetta del Diavolo della Malgina.
Insomma; da come avrete intuito la traversata non è assolutamente semplice e da sottovalutare.
Favoloso lo scenario offerto dalla vetta: le montagne più alte della catena orobica sono facilmente riconoscibili mentre la vicina catena Retica domina la sottostante Valtellina.
Per completare un giro ad anello davvero strepitoso conviene scendere dalla Cresta Est, la via normale, tenendo leggermente il versante seriano pervenendo al Passo della Malgina.
Tracce ben marcate e numerosi segnavia indicheranno il comodo rientro nella conca del Barbellino.
Vi lascio con una frase di Giovanni De Simoni, storico compagno di cordata di Agostino Parravicini, che descrive in maniera impeccabile il mio concetto di riscoperta orobica: “questa è la sola ragione per la quale ignoro qui altre montagne che pur ebbi la ventura di percorrere, fuori dalla cerchia orobico-retica: esse mi aggiunsero conoscenze, ma non fui ‘innamorato’ si da averne, come per le prime, profonde rispondenze nel sentimento della mia formazione”.
Chapeau!

* “Stretta e marcata incisione della cresta fra il Pizzo del Diavolo e il Pizzo Cavrel: anonima sulle carte mette in comunicazione l’alto circo della Valle Malgina seriana con l’alta Valmorta”.



Da uno scatto primaverile la bellissima e lunghissima Cresta Sud del Diavolo della Malgina catturata dalla Valmorta.
La percorreremo integralmente come se "non ci fosse un domani"!


Un tramonto decisamente DOC presagisce l'ennesima giornata indelebile!


Ci godiamo i colori e il tepore in vista di una giornata che si preannuncia lunga e faticosa.


Quest'oggi la luna ci porterà fortuna!


Sguardi che difficilmente scorderò.
Che il lungo viaggio abbia inizio!


Terminato un facile tratto di cresta affilata ed esposta decidiamo di salire al Pizzo Cappuccello da una variante piccante!


Dirimpetto la cresta che porta sul Cavrel e sulla sinistra il resto del crinale da percorrere.


Il Pizzo di Coca dalla vetta del Cappuccello.


Dopo averlo "scavalcato" con una bella arrampicata ecco il Pizzo Cappuccello nel mentre della salita al Pizzo Cavrel.


Il secondo step della lunghissima giornata; la vetta del Pizzo Cavrel impreziosita dal "re" delle Orobie.
Mamma mia!


Prospettive decisamente inconsuete per il Barbellino!


Prospettive inedite zeppe di moltissimi dubbi dal classico sapore orobico.


L'adrenalinica discesa dallo Spigolo-Cresta Nord del Cavrel.
Ormai è chiaro; siamo nell'egemonia del marcio!


La prima delle tante finestre dedicate al Pizzo di Coca con la sua estetica Cresta Nord percorsa poco tempo fa!


I primi cinque pinnacoli post Pizzo Cavrel sono tanto eleganti quanto bastardi.
Molto bastardi!


Colpi d'occhio di prim'ordine quest'oggi.
Laggiù i laghi della Malgina!


I passaggi sono sempre aerei e soprattutto delicati.


Poco oltre la Bocchetta del Cavrel il "Cornetto delle Rondini"!


Esposizione a go-go nei pressi di una recente frana laddove conviene appoggiare leggermente sulla destra.
Qui, tanto per cambiare, è tutto precario!


L'incisione-camino assai pericoloso della seconda quota (2800 presumo) aggirabile in discesa appoggiando sul versante di Valmorta.
Questo è uno dei tratti più infimi della cavalcata.


ll lunghissimo crinale non concede tregua.
La roccia migliorerà soltanto verso la fine!


Prepariamo una doppia su spuntone di 30 metri per scendere ad una profonda depressione.


Il tratto chiave superabile prima con una calata a corda doppia e successivamente con una breve scalata.


Durante la calata alla profonda breccia del passo chiave (lasciato cordone arancione in loco).


Il punto verso la fine di ottima roccia descritto dal Saglio come "quasi a mo di due torri o tagli della cresta divisi da una breccia".
Che ambiente spettacolare!


Finalmente si vede bene la campanella posta sulla vetta del Diavolo.
La facile impennata terminale sarà poco più di una passeggiata!


E' stata una delle giornate più lunghe, faticose ma remunerative di sempre.
Una giornata, l'ennesima, da conservare tra i ricordi più belli.

“Amo le montagne di puro amore ma voi, Orobie mie, siete qualcosa di più per il mio cuore; avete il dolce fascino di un primo amore”!


L'ultimo saluto 'estivo' alla conca del Barbellino non poteva avere miglior epilogo.
L'anima ma soprattutto il cuore esultano!