martedì 26 giugno 2018

Pizzo Rondenino - Cresta Ovest

Se una rondine non fa primavera un (Pizzo) Rondenino, per di più solitario, fa certamente estate!

“E’ la più spiccata elevazione della cresta, nel centro della testata di Val d’Ambria. Talvolta denominata Punta di Podavite.
Dal lato valtellinese si presenta quale muraglia di altissime nere piodesse con potente crestone mediano: sul versante brembano invece è un pendio ripidissimo.
La cresta orientale ha due tratti ertissimi. Quotata ma senza nome sulla tav Pizzo del Diavolo”

Sabato si avvicina e l’indecisione regna sovrana.
Nessuno dei miei compagni è riuscito a liberarsi perciò sono solo, sedotto e abbandonato!
L’idea è di… non ho nessuna idea giacché i programmi che avevo per la testa vertevano su altri obiettivi e necessitavano della giusta dose di sicurezza.
Sicurezza?
Chi mi conosce bene sa che quando parto da solo sono fottutamente e dannatamente poco affidabile.
“Dove vai domani”?
“Penso per prati a raccogliere margherite”.
“Stai attento, mi raccomando”.
“Tranquillo, vado a Carona e salgo a salutare Enzo, il rifugista del Longo, e poi magari mi spingo tramite sentiero fino al Rifugio Calvi per buttare un po’ di km e dislivello nelle gambe. Una roba tranquilla insomma”.
Tutto sommato per metà sono stato bravo poiché mentre salivo al Longo ho incrociato Enzo e ci siamo salutati!!!
Poi però ho visto il costolone di destra del Monte Aga e, ahimè, non avendo i ramponi nello zaino per salire dalla “normale” ancora innevata… lascio immaginare a voi l’esito della decisione.
Giunto sulla vetta del Monte Aga ho poi contemplato la Cresta Ovest del Pizzo Rondenino e mi son detto tra me e me: “wow che figata”!!!
Volevo anche andare al Diavolo, in tutti i sensi, ma ho deciso di fare il bravo concludendo il giro che m’ero prefissato rientrando quindi dal Rifugio Calvi.
Ok, ok, non sono andato per prati a raccogliere le margherite ed ho percorso ben poco sentiero ma i rifugi li ho visitati entrambi!
Ma veniamo a noi; il costolone di destra del Monte Aga è davvero molto bello, per nulla impegnativo (max II) e soprattutto la prima parte, vedi linea dello scatto fotografico, di roccia ottima. Soltanto un po’ esposto ma godurioso al punto giusto.
Talmente godurioso che d’ora in poi per il sottoscritto non esisterà più la “via normale”!
La Cresta Ovest del Pizzo Rondenino invece è moooolto lunga, per non dire lunghissima, e dev’essere affrontata con la giusta preparazione.
Piede sicuro e assenza di vertigini sono prerogative essenziali per godersela tutta d’un fiato… slurp!
La prima parte arrivando dal Monte Aga è semplice e soltanto nei pressi di un salto roccioso bisogna abbassarsi per qualche metro sul versante meridionale (bergamasco) e disarrampicare una fessura/camino prettamente erbosa. Il passo non è difficile, I/II (?), ma la grande esposizione non lascia spazio ad alcun errore.
Un secondo salto roccioso va aggirato sempre sul versante brembano seguendo alcune labili tracce per poi giungere sulla Quota 2675 con ottima vista sulla sottostante Val d’Ambria.
Successivamente, più o meno poco oltre la metà del crinale, si incontra la “stretta incisura con un selvaggio canalino sul piovente valtellinese” descritta nel libro del Saglio laddove è necessario abbassarsi di qualche metro e disarrampicare una pioda quasi verticale ma di buona roccia (II, chiodo un po’ mal ridotto per eventuale calata a corda doppia).
Il resto della cresta richiede la giusta dose di “ravano” con tratti affilati che alternano roccia buona a roccia che detto senza se e senza ma fa letteralmente cagare.
Spesso conviene appoggiare sul versante meridionale e un paio di brecce vanno giocoforza aggirate abbassandosi per qualche metro (volendo si può stare sempre in cresta ma con difficoltà maggiori: II ma forse qualcosina di più).
La parte finale, infine (!), è di pura avventura e si può scegliere se scalare l’affilata cresta formata da una serie di torrette/denti assolutamente friabili ed esposti oppure, anche in questo caso, aggirando le difficoltà stando sul versante bergamasco per poi salire tosto in vetta.
Lo spettacolo da lassù è assicurato e il colpo d’occhio sui Diavoli è di prim’ordine!
Il rientro conviene farlo dallo stesso percorso di salita, partendo da Carona mettete in conto almeno 12 ore tra andata e ritorno, oppure scendendo in direzione della Bocchetta di Podavitt, quindi percorrendo la Cresta Est, ma in questo caso le difficoltà non sono assolutamente da sottovalutare (consigliato uno spezzone di corda).
Per la traversata completa il mio consiglio è di salire da Podavitt per poi spingersi in direzione del Monte Aga. Est-Ovest per intenderci.
Più info a questo link.

 http://maurizioagazzi.blogspot.com/2013/08/pizzo-rondenino-e-corna-dambria.html

Con me… soltanto io!


La lunga cresta occidentale del Pizzo Rondenino. 
Per Il Monte Aga sono salito dalla parte opposta e sceso da questo versante.


Salendo verso il Longo fa capolino la bella e selvaggia costiera Pizzo Torretta-Corni di Sardegnana in fiore!


Da un mio vecchio scatto dal Pizzo di Cigola la linea di salita al Monte Aga.
Bedda... bedda!


Decido di salire per il costolone di destra; troppo innevata la via normale ed oggi ho soltanto le scarpe ginniche.


Profumo e colori d'Orobia selvaggia!


Durante la percorrenza del costolone alcuni scorci inusitati di Monte Aga.


Uscito dallo spigolo la cresta si abbatte e si vede la vetta.
In questo scatto è visibile la molta neve residua nel catino della via normale.


Ultimo tratto di buona roccia dopodiché la musica, ahimè, cambierà.


Un tratto della cresta che ho percorso a sfondo Pizzo di Cigola.


Si viaggia sempre con bella esposizione!


Machebellochebellissimo (cit.)!


Gli ultimi facilissimi metri e po sarà "il delirio del ravano".


Inizia la lunghissima traversata.
Buff... buff!


Bye Bye Monte Aga, è stato bello rivederci.


Val d'Ambria e Lago Zappello.
In Valtellina la meteo è fantastica mentre nella bergamasca fa letteralmente cagare!


Si passa un po' ovunque ma con la giusta attenzione.


Sulla Quota 2675 che s'incontra percorrendo la cresta.
Lo spettacolo è assicurato!


La forma turrita del Rondenino diviene sempre più ardita e severa.


Discesa disarrampicata al salto verticale posto a metà crinale e descritto dal Saglio come la “stretta incisura con un selvaggio canalino sul piovente valtellinese”.
Buttati che è morbido!


Il chiodo del passo chiave; tempo fa era molto più arancione!


Finalmente un po' di compagnia.


Scorci decisamente inusuali e selvaggi!


Manca ormai poco alias gli ultimi nonché tosti metri.


 Il tratto chiave fotografato dall'alto.


Piode affilate (bastarde) e taglienti da affrontare con (divertimento) estrema cura ed attenzione.


 Il Monte Aga ormai è lontanissimo!


E Vetta fu ma che spettacolo. 
(Tanto)³ happy!


La Val d'Ambria vestita d'estate.


Discesa alternativa da un canalino per evitare le piode finali un po' troppo taglienti.


Un'altra giornata da conservare tra le più belle di sempre!



mercoledì 13 giugno 2018

Cima di Pescegallo - Via Fior di Montagna

Come ben saprete sono letteralmente innamorato della Val Gerola, una delle vallate più alpinistiche e scenografiche di tutto il gruppo delle Alpi Orobie, tant’è che nel corso di questi ultimi anni molta della mia attività di (ri)scoperta l’ho dedicata a quel piccolo angolo di paradiso.
Una lunghissima avventura iniziata dal Torrione di Mezzaluna passando per i Denti della Vecchia, il Dente del Varrone, l’intero gruppo del Tronella, i Dentini di Trona, la Cresta di S. Stanislao, la Torre del Lago, ecc.
Tuttavia da svariato tempo m’ero prefissato di percorrere almeno una delle vie storiche aperte sulla Cima di Pescegallo e il mio sguardo da sempre era catalizzato dal “Gran Diedro della parete W-N-W” ossia un percorso storico tracciato da E. Fasana e A. Omio il 15 agosto 1931.
Una via che nel corso degli anni è stata risistemata soprattutto nella parte più tecnica, quella centrale, e ribattezzata “Fior di Montagna” per l’anniversario dei 50 anni del coro Fior di Montagna (ad essere sincero la via storica saliva un po’ più a sinistra di quella attuale).
La Cima di Pescegallo, arcigna ed elegante se ammirata dall’omonimo lago artificiale, possiamo considerarla l’estremità settentrionale del Monte Ponteranica Occidentale tant’è che il passaggio tra queste due cime è molto breve e divertente. Il suo nome è stato proposto dal leggendario E. Fasana il quale ne raggiunse per primo il cucuzzolo sommitale.
Anni fa, il 15 luglio del 2010, avevo percorso integralmente l’anfiteatro del Ponteranica concatenando in sequenza la Cima di Pescegallo, il Ponteranica Occidentale, il Dentino di Ponteranica, il Ponteranica Centrale, il Ponteranica Orientale e il Monte Colombarolo ma la Cima di Pescegallo l’avevo salita dalla via normale e quel bozzetto degli anni ’50 che ritraeva la sua parete Ovest-Nord-Ovest era restato un sogno nel cassetto. 
Di quella cavalcata solitaria conservo il ricordo di un’alba spettacolare e “infuocata” tra le più belle della mia vita.


Il Lago di Pescegallo si può raggiungere dal Passo San Marco passando per il Passo di Verrobbio e il Forcellino in circa 1h 30m oppure salendo direttamente da Pescegallo, una piccola frazione di Gerola Alta (Morbegno) nota per gli impianti di risalita, le numerose vie ai Denti della Vecchia e il Rifugio Salmurano.
Alla partenza della via, facilmente riconoscibile poiché inizia proprio sulla verticale del grande diedro della parete Ovest – Nord -Ovest, è posta una targa in questo periodo nascosta dai residui nevosi presenti alla base della parete.
Il colpo d’occhio durante la scalata, sicuramente tra i più belli di tutte le Alpi Orobie, e la recente abbondante chiodatura rendono l’ascesa sicura e godibile.
Questo l’itinerario storico del Gran Diedro.
“Dal Lago di Pescegallo ci si dirige a Sud verso la parete e, superato il cono erboso che si tende alla base del diedro, si risale un canaletto e rocce con appigli arrotondati, per abbordare il diedro propriamente detto inclinato da sinistra a destra e percorso da una lunga e stretta fessura.
Dopo aver sorpassato una roccia aggettante, formatasi in seguito alla frattura dello spigolo di un enorme lastrone che si appoggia al diedro, si affronta la fessura aperta tra il lastrone predetto e l’altra parete del diedro. La si risale, chiodo di assicurazione, per uscirne in alto.
Si supera un tratto erboso cosparso di massi e si continua per una ruga longitudinale, segnata appena dall’erba.
Ci si porta poi ad altre rocce miste che permettono di raggiungere facilmente l’anticima. Da questa si seguita lungo la costa rocciosa e si supera una piccola interruzione”.

Questo invece l’itinerario moderno seguito da noi e trascritto integralmente dal sito internet: www.inmontagna.blog (ringrazio pubblicamente Gabriele per la gentile concessione).
Ho scelto di inserirlo totalmente poiché i tiri sono descritti in maniera davvero precisa!
1° (30 m – II) si attacca a destra della targa salendo per un canalino sfasciumoso o direttamente sulla placca, fino ad arrivare alla base della parete superiore dove si prosegue traversando a sinistra sino alla comoda sosta
2° (30 m – III) si prosegue lungo il canalino seguendone l’andamento, portandosi alla base della placca di IV dove si incontra la sosta: un solo chiodo, ma più che sufficiente visto che la parete è appoggiata. Se invece si sentisse la necessità di proteggere ulteriormente prestare attenzione alla roccia, in alcuni punti distaccata e instabile
3° (30 m – IV+) si attacca la placca sulla destra della sosta, seguendo la chiodatura davvero abbondante (9 chiodi), su buona roccia lavorata che offre molti appoggi per i piedi
4° (30 m – IV+) questo tiro è un po’ più semplice del precedente ma comunque abbondantemente chiodato (8 chiodi): si risale qualche metro usando lo spallone roccioso che devia in direzione sinistra e superato questo, in verticale fino alla sosta
5° (25 m – IV) bisogna spostarsi a sinistra traversando su piccola ma comoda cengetta, per poi seguire la verticale dei chiodi (nel numero di 7) fino alla sosta: dopo pochi metri l’inclinazione della parete diminuisce
6° (30 m – III) si percorrono i primi metri su placca per poi arrivare ad un terrazzino che risale in diagonale verso sinistra, sul quale si può proseguire camminando; è presente solo un chiodo
7° (30 m – III+) si risale il masso sulla sinistra della sosta e poi si prosegue in verticale sulla parete: circa a metà se non si è andati fuori via si incontra un chiodo, poi un po’ più avanti se ne incontra un altro, più vecchio, camuffato con le rocce, infine la sosta, l’ultima attrezzata della via
8° (50 m – III) si segue il filo di cresta fino a raggiungere un cambio di pendenza con dei massi su cui è possibile allestire una sosta: c’è un chiodo sulla sinistra poco sopra la metà del tiro, anche questo non facile da individuare (questo tiro noi l’abbiamo fatto slegati)
9° (50 m – II) questo tiro lo abbiamo azzerato, proseguendo slegati: non ci sono protezioni ma l’inclinazione a questo punto è agevole e si prosegue per roccette, seguendo la cresta, fino ad individuare la madonnina sistemata un po’ prima dell’anticima.

Lasciate le corde alla Madonnina siamo saliti dapprima alla vera vetta della Cima di Pescegallo e successivamente ci siamo spinti fino alla Cima del Ponteranica Occidentale; qualche breve passo di II "insaporito" da un insolito colpo d'occhio sulle vicine vette dei Ponteranica Centrale e Orientale.
Infine per la discesa siamo tornati alla Madonnina e abbiamo allestito una calata a corda doppia da 60 metri scendendo dal versante opposto della salita (Est). 
La sosta per la calata è stata allestita pochi metri sotto la Madonnina e si raggiunge con l'ausilio di una breve fune metallica.
Lo sviluppo della via sono 220 metri e il tempo di scalata si attesta tra le 2 e le 3 orette.
Con me Filippo e Peppo!


Da un mio scatto invernale (non ho scatti estivi) la linea della via.
Rossa la linea di salita mentre verde l'inizio della calata da 60 metri che scende dal versante opposto della salita.


Il bozzetto originale della via tratto da "Alpi Orobie" del Saglio.
Che spettacolo!


Riflessi del gruppo del Ponteranica nel grazioso laghetto di Verrobbio.


L'imponente e rocciosa mole della Cima di Pescegallo dal Forcellino.
Finalmente una giornata decente dopo quasi un mese di pioggia.


L'attacco della via; la targa che ne indica l'inizio è ancora sommersa dalla neve!


Peppo quasi all'attacco del grande diedro che segna la vera partenza della via.
I primi due tiri sono molto facili e si possono fare slegati.


Iniziano le danze!


Il terzo tiro che sarebbe il "vero" primo parte tosto ma di roccia buona e con ottima chiodatura.
Di questi tempi un cielo così azzurro è merce rara!


Filippo sul terzo tiro (IV+) a sfondo Lago di Pescegallo.


Anche il quarto tiro parte abbastanza sostenuto IV+ ma comunque di ottima roccia.
Da standard altissimo direi per le Alpi Orobie!


C'è poco da dire... serve solo godere!


Il quarto tiro è caratterizzato da un lamone roccioso che si lascia ben scalare.


Gli orizzonti si ampliano, la goduria pure!


La partenza del quinto tiro è sostenuta ma solo per pochi metri.


 Il caratteristico masso appoggiato del settimo tiro che riprende la verticale della cresta.


Le brevi e debbo dire stra-divertenti difficoltà del settimo tiro!


Via finita, mancano solo pochi metri alla cresta della normale, soddisfazione immensa!
Gli ultimi due tiri li facciamo slegati.


La Madonnina che segnala la fine delle vie alla Cima di Pescegallo.


Dalla Cima di Pescegallo la vetta della Cima Occidentale di Ponteranica.


Dalla Cima di Pescegallo l'omonimo lago assume la forma quasi perfetta di un cuore!


E poi ancora su; sulle placconate finali del Ponteranica Occidentale.
Bello, bello!


Questo invece lo sguardo gentilmente offerto dal Ponteranica Occidentale.


Filippo e Peppo in vetta al Ponteranica Occidentale.


Il gruppo del Tre Signori in balia delle prime nuvole... e chi scende più da quassù!


Rientriamo con cautela dalle placconate del Ponteranica Occidentale.


Durante la preparazione della doppia da 60 metri per scendere dalla Cima di Pescegallo.


Peppo durante la comoda e luuuunga calata!


L'ultimo saluto al Lago di Pescegallo.