martedì 19 novembre 2024

La saggezza della rinuncia, l’amore per la montagna!

Essendo fanatico di libri scritti dai pionieri sovente sono restato incantato da tutti quei racconti che m'hanno fatto innamorare dell'Orobia.
Uno in particolare pubblicato da Giovanni De Simoni (5 luglio 1913 – 23 marzo 1988) storico compagno di cordata del fortissimo Parravicini, nonché autore di uno dei libri più profondi dedicati all’alpinismo “Ragazzi sui 3000” edizioni Montes Torino 1938-XVI, m’ha colpito in maniera straordinaria.
Da qui l’idea di riproporre il racconto e, perché no, riadattarlo alle nostre AMATE Orobie.

La saggezza della rinuncia, l’amore per la montagna!
“C’era una volta… niente paura, non è una lunga fiaba che sto per cominciare, ma una leggenda breve che, raccontan disadorna i montanari della valle, come disadorno è il loro linguaggio e breve il loro dire.
C’era una volta, dunque, sulla Punta di Scais un grosso anello di ferro che servì, così narra la leggenda, ad ormeggiare l’arca di Noè.
Come poi sia disceso il buon patriarca dalla vetta di quella punta vertiginosa, con quel po’ po’ di ben di Dio che la Sacra Bibbia ci dice avesse seco, la storia proprio non lo narra, limitandosi a dire che si servì del grosso anello per calarsi con una corda.
Corda doppia?
Bisognerebbe fare un monumento a quest’antico padre dell’alpinismo, per giunta senza guida!
Ma la leggenda, a dire il vero, ci aveva molto colpiti e ne avevamo mantenuto vivissimo il ricordo dopo quei già narrati cinque giorni di tardo settembre del ’33, passati al Rifugio Coca
(costruito nel 1919 su progetto dell’ingegnere Luigi Albani) senza poter vedere un solo tratto delle numerose cime dintorno.
Pensammo proprio che Noè volesse ripetere l’esperimento approfittando del novello diluvio!
E nel ’34 poco mancò non accadesse il bis ai fratelli Tagliabue recatisi nuovamente in Val d’Arigna nella prima decade di luglio.
Ma il tempo trattenne per grazia la pioggia e permise loro, pur avvolgendoli nella nebbia più nera, alcune “prime” scalate.


La Punta di Scais alla fine del secolo scorso.

Illusioni e rosee speranze , progetti, tutto era destinato, quell’anno, a modificarsi o cadere”! Quelle nebbie erano soltanto i prodromi di una stagione fortunosa e sfortunata che avrebbe segnato la rinuncia alla “nord” del Disgrazia e che ci avrebbe visti poi correre qua e là per le Alpi, in cerca di quanta più pioggia e neve ci fosse stato possibile raccogliere!
Ma anche se il tempo e la montagna giocano scherzi cattivi, l’alpinista non si disanima né si disinnamora. Alle montagne si dice un arrivederci, non si porta rancore. Tanto più piacciono forse quanto più paiono restìe ad accoglierci e difficili a vincere. È il sogno che si prolunga; il desiderio che con la procrastinata attuazione dei propri piani si acutizza e si fa spasimo, ma che è foriero di tanto più grandi ed intime soddisfazioni nella realizzazione. E sono queste soddisfazioni che si cercano nella montagna e che si provano ancor più forti e profonde nelle prime scalate.
Non è manìa sportiva, culto della forza, idolatria dei campioni; è sete di sensazioni vergini, bramosia di conquiste psichiche ma soprattutto spirituali"

Grazie #orobie

Il Torrione Curò in veste suggestiva.