Essendo fanatico di libri scritti dai pionieri sovente sono restato incantato da tutti quei racconti che m'hanno fatto innamorare dell'Orobia.
Uno in particolare pubblicato da Giovanni De
Simoni (5 luglio 1913 – 23 marzo 1988) storico compagno di cordata del
fortissimo Parravicini, nonché autore di uno dei libri più profondi dedicati
all’alpinismo “Ragazzi sui 3000” edizioni Montes Torino 1938-XVI, m’ha colpito
in maniera straordinaria.
Da qui l’idea di riproporre il racconto e, perché no, riadattarlo alle nostre
AMATE Orobie.
La saggezza della
rinuncia, l’amore per la montagna!
“C’era una volta… niente paura, non è una lunga fiaba che sto per
cominciare, ma una leggenda breve che, raccontan disadorna i montanari della
valle, come disadorno è il loro linguaggio e breve il loro dire.
C’era una volta, dunque, sulla Punta di Scais un grosso anello di ferro che
servì, così narra la leggenda, ad ormeggiare l’arca di Noè.
Come poi sia disceso il buon patriarca dalla vetta di quella punta vertiginosa,
con quel po’ po’ di ben di Dio che la Sacra Bibbia ci dice avesse seco, la
storia proprio non lo narra, limitandosi a dire che si servì del grosso anello
per calarsi con una corda.
Corda doppia?
Bisognerebbe fare un monumento a quest’antico padre dell’alpinismo, per giunta
senza guida!
Ma la leggenda, a dire il vero, ci aveva molto colpiti e ne avevamo mantenuto
vivissimo il ricordo dopo quei già narrati cinque giorni di tardo settembre del
’33, passati al Rifugio Coca (costruito nel 1919 su progetto dell’ingegnere
Luigi Albani) senza poter vedere un solo tratto delle numerose cime dintorno.
Pensammo proprio che Noè volesse ripetere l’esperimento approfittando del
novello diluvio!
E nel ’34 poco mancò non accadesse il bis ai fratelli Tagliabue recatisi
nuovamente in Val d’Arigna nella prima decade di luglio.
Ma il tempo trattenne per grazia la pioggia e permise loro, pur avvolgendoli
nella nebbia più nera, alcune “prime” scalate.
Illusioni e rosee speranze , progetti, tutto era destinato, quell’anno, a
modificarsi o cadere”! Quelle nebbie erano soltanto i prodromi di una stagione
fortunosa e sfortunata che avrebbe segnato la rinuncia alla “nord” del
Disgrazia e che ci avrebbe visti poi correre qua e là per le Alpi, in cerca di
quanta più pioggia e neve ci fosse stato possibile raccogliere!
Ma anche se il tempo e la montagna giocano scherzi cattivi, l’alpinista non si
disanima né si disinnamora. Alle montagne si dice un arrivederci, non si porta
rancore. Tanto più piacciono forse quanto più paiono restìe ad accoglierci e
difficili a vincere. È il sogno che si prolunga; il desiderio che con la
procrastinata attuazione dei propri piani si acutizza e si fa spasimo, ma che è
foriero di tanto più grandi ed intime soddisfazioni nella realizzazione. E sono
queste soddisfazioni che si cercano nella montagna e che si provano ancor più
forti e profonde nelle prime scalate.
Non è manìa sportiva, culto della forza, idolatria dei campioni; è sete di
sensazioni vergini, bramosia di conquiste psichiche ma soprattutto spirituali"
Grazie #orobie
Il Torrione Curò in veste suggestiva.