Carissimi viaggiatori
d’Orobia,
avviso voi altri che codesto sarà un racconto completamente “pionieristico”;
per questo motivo la descrizione della montagna e successivamente l’ascesa del
Camino Baroni verranno descritte come se fossimo agli albori dell’alpinismo.
Solo una piccola premessa.
Dopo le recenti “ultime sfighe” non pensavo proprio di riabbracciare partendo
da casa “la seconda celebratissima vetta delle Alpi Orobie”.
La vetta per eccellenza dell’Orobia più profonda e selvaggia; la cima che più
di ogni altra ha rappresentato e raccontato la storia di questo meraviglioso
gruppo montuoso.
“m 3039 – Seconda celebratissima vetta della Alpi Orobie, sorgente come
aguzza cuspide dalla linea orografica principale, sulla quale ha un breve
sviluppo verso il N, con una bella spalla, e maggior sviluppo verso il S, con
una cospicua ardita torre, il Torrione Curò e una elevazione dalle linee più
modeste (m 2997) non di rado nominata, non si sa con qual spirito, Fetta di
Polenta, delimitante a settentrione la Bocchetta di Scais, col qual nome è stata
non di rado indicata erroneamente la breccia che non merita nome fra il
Torrione Curò e la vetta estrema.
Verso la V. di Coca l’ossatura della Punta di Scais è costituita essenzialmente
da un robusto costolone che si stacca dai fianchi della q. 2997, limitato da
ben incisi canaloni che scendono dalla Bocchetta di Scais e dalla Bocchetta
meridionale di Porola. Sul versante abduano la montagna si sviluppa
maggiormente co un potente crestone, diretto a NO, a dividere i due valloni ove
sono le Vedrette di Scais e di Porola.
Questo crestone, appena sotto la vetta, corre per un buon tratto dentellato e
pressoché orizzontale, per abbassarsi poi a una cospicua depressione e
sollevarsi tosto a una ultima grande elevazione m 2970, il Torrione Occidentale
della Scais, dopo il quale declina quasi regolarmente, con qualche leggero
intaglio e qualche variazione, fino al suo ultimo balzo che domina la valle con
aspetto arditamente pittoresco visto dalla valle, stupendamente dal Rifugio
Mambretti”.
3 luglio 1881
L. Albani,
G. Nievo,
A. Baroni,
L. Bonetti,
I. Zamboni.
“Noi eravamo così disposti: Baroni, Albani, che stimò conveniente non
mai staccarsi dal primo, Zamboni, io e Bonetti, tutti legati alla distanza di 5
o 6 metri l’uno dall’altro.
Fin là la neve fu in buone condizioni; però man mano che ci innalzavamo nel
canalone essa si induriva sempre di più, finché divenne puro ghiaccio, e Baroni
dovette lavorare di Piccozza. Si saliva lentamente colle mani e coi piedi
agghiacciati sotto la gragnuola che Baroni ci faceva rovinare addosso scavando
i passi. Finalmente si toccò la roccia, ma questa era così in cattivo stato,
che i primi vi si erano già assicurati da un quarto d’ora mentre noi eravamo
ancora sul ghiaccio. Allora la grandine di ghiaccio si cambiò in una grandine
di pietre, che si potevano schivare collo stare appiccicati contro il monte,
mentre esse piombavano sul sottostante ghiacciaio. Qualche frantume ci colpì,
ma dall’alto Baroni gridava: ‘che ghe bada miga’.
Però ci dovette badar lui quando si trovò contro ad un masso sporgente che
sbarrava il cammino; per quanto tenti, non trova modo di sorpassare quel
maledetto impedimento; inoltre lo impensierisce il riflettere, che si sarebbe
poi dovuto venir giù e lui ultimo senza l’aiuto della corda. Ci eravamo fermati
tutti aggrappati al canalone nelle più strane positure, e nessuno fiatava.
Finalmente, in una posizione difficilissima, Baroni trovò il mezzo di levarsi
le scarpe, di deporle in una spaccatura, raccomandando però di non toccarle al
nostro passaggio che sarebbero precipitate sul ghiacciaio, poi con uno sforzo
supremo si portò al di sopra di quella sporgenza.
In quel momento ci parve trasfigurato in un Dio della montagna; noi e le altre
due guide lo ammirammo estasiati.
Prima di tirarci su anche noi, si staccò dalla corda, e volle esplorare il
rimanente della montagna, per risparmiarci una fatica inutile nel caso di
un’assoluta impossibilità di proseguire.
Finalmente ricomparve e ci disse che era arrivato fin dove aveva visto la
probabilità di toccare la cima, e aggiunse ‘me ghen do seu, ma lur no’.
Noi ci sentimmo stringere internamente da un sentimento d’indicibile
rincrescimento. Baroni in quell’istante era l’arbitro del nostro destino, e noi
attendevamo qualche sua altra parola come il responso di un oracolo. Dopo
qualche minuto di riflessione egli ci disse: ‘però se si levano le scarpe si
potrebbe tentare’.
Un grido generale di ‘avanti’! fu la nostra risposta. Allora egli ci tira su ad
uno ad uno e cautamente ci guida fino in cima a quel camino, ove ci troviamo su
un bocchetto incassato fra una gran parete a piombo, che ci sovrasta a sud, e
un’altra di una ripidezza spaventosa, liscia, con leggiere e irregolari
intaccature a nord, a cui le guide danno il nome di ‘piodessa’, ed è per di là
che si deve continuare. Ivi si deposero le scarpe, e quantunque non si sapesse
proprio come si sarebbe andati lassù, ci affidammo completamente al Baroni.
Questi si inerpica fin dove può stare al sicuro e di là aiuta colla corda
Albani a raggiungerlo; Zamboni lo segue e aiuta me mentre che i primi due
mantenendo la corda ben tesa lo sostengono validamente; Bonetti ci vien dietro
nell’istesso modo; e questa operazione si ripete più volte, avendo sempre
l’avvertenza di muoverci uno alla volta e tenendo la corda tesa.
Le pietre taglienti ci facevano sanguinare i piedi, ma non ci abbadava.
L’ultimo tratto fu il più pericoloso dovendosi superare tutto dal lato che
piomba sulla Vedretta di Scais; la rottura della corda, un accidente qualunque
ci avrebbe fatto fare un volo di 500 o 600 metri.
Verso le 10 ½ un’esclamazione di gioia del Baroni annuncia l’incontestabile
nostra vittoria; un evviva generale s’innalza al cielo; la bottiglia è sturata
e un buon bicchiere di marsala ci rincora dopo le ansie dell’ascensione.
Il cielo era smagliante; la vista che si gode dal Rodes (anticamente la
Punta di Scais era denominata Rodes, nda) è
press’a poco quella che si ammira dal Cocca e dal Redorta; qualche tratto della
Valtellina, i colossi della Disgrazia e del Bernina coi loro ghiacciai, il
gruppo dell’Ortler, l’Adamello, e le Prealpi Bergamasche, di cui potevamo
discernere con compiacenza tante cime salite d’estate e d’inverno.
Sotto i nostri piedi si vedevano il ghiacciaio di Scais, quello di Rodes,
compreso fra il gruppo principale del Rodes ed il suo braccio occidentale
diramantesi precisamente dal pizzo maggiore, e la Valle di Cocca oltre il lago.
Il Cocca si presentava in apparenza inaccessibile, ed il Redorta tutto bianco
di neve era imponente; traguardandolo attraverso a un bicchiere di vino
osservai che era più basso.
Il barometro segnò 527 millimetri e il termometro +11°, il che diede un’altezza
di circa metri 3060. Si può quindi ritenere, fino a che non saranno ultimati
gli studi trigonometrici che si stanno facendo dallo Stato Maggiore, che la
cima del Rodes (Punta di Scais, nda)
è la più elevata delle altre punte delle Prealpi Bergamasche.
Non c’era traccia lassù di altra ascensione, quindi rimase confermata la nostra
supposizione che quella vetta fosse ancora inesplorata. Fu costrutto un ometto
di pietra di circa 60 centimetri, e vi si ripose la bottiglia coi nostri
biglietti e con una relazione dell’ascensione.
Si rimase colà circa 2 ore, ma non potrei dire che ci si stesse coll’animo
tranquillo. L’apprensione di dover fare la discesa per dove eravamo saliti, lo
spazio ristretto, gli abissi che avevamo ai lati ci facevamo provare una certa
emozione; nessuno di noi poteva voltarsi senza smuovere delle pietre che
precipitando parevano facessero tremare la montagna”. Nessuno si era slegato e
ciò per prevenire qualunque possibile accidente.
Alle 12,30 Baroni ordinò la partenza. Bonetti, a cui toccava incamminarsi,
chiese da qual parte doveva discendere.
‘Ma da dove siamo saliti’, gli rispose Baroni; allora il bravo Bonetti, che
aveva dato prova incontestabile di forza, coraggio ed esperienza, fu assalito
da una specie di panico che lo rese esitante. Ma fu un fenomeno nervoso
passeggiero. Si fece animo e giù, seguito da me, Zamboni e da Albani; si
scompariva l’uno dopo l’altro come se fossimo sprofondati in un pozzo.
Ultimo veniva Baroni, che dopo averci sostenuti ci raggiungeva strisciando su
quell’inclinatissimo lastrone in modo ammirabile, da farci gelare il sangue
nelle vene.
Ci fu un istante, poco prima di toccare il bocchetto, che lo si vide aggrappato
colle mani alla roccia cercare invano coi piedi punto di appoggio.
Alle due eravamo riuniti tutti sul bocchetto, ove si ripresero le scarpe. La ci
slegammo per avere la corda in tutta la sua lunghezza, e uno dopo l’altro fummo
con quella calati giù nel camino fino ad una specie di nicchia, dove eravamo al
sicuro dai sassi che precipitavamo smossi da quelli che venivano dopo.
Baroni ci raggiunse chi sa come; nell’istessa guisa scendemmo la parte del
canalone coperta dal ghiaccio. Giunti alla base del suddetto, ci rilegammo come
prima, e si rifecero cautamente e le cornici e i nevai, finché alle 5 e mezza
ponemmo di nuovo il piede, incolumi, sulla Vedretta del Redorta”.
Ingegnere Giuseppe Nievo
Socio della Sezione di Bergamo del CAI
Originariamente la
Punta di Scais era denominata Pizzo di Rodes e a tal proposito ho scovato
un’importante relazione di un Segretario CAI di Bergamo del 1881 dal titolo
“ascensione al Rodes” che ne convalidò la prima ascesa.
“I colleghi ing. G. Nievo ed ing. Luigi
Albani colle guide Baroni, Zamboni e Bonetti, stabilirono di raggiungere ad
ogni costo la vergine vetta del Pizzo di Rodes.
Il giorno 1° luglio tentarono la salita dal lato del Passo di Cocca* ma le
sorti non furono loro propizie e la salita non potè essere effettuata per le
insuperabili difficoltà incontrate. Non perciò scoraggiati girarono la
posizione e il giorno 3 luglio prendendo le mosse dal Passo della Scala,
riuscivano a domare quel colosso, prendendo possesso dell’ancor vergine punta
culminante delle creste del Rodes (3056 m).
Questa vetta corrisponde sulla carta dello Stato Maggiore Austriaco al noto
situato a otto millimetri al S.S.O. della lettera S della parola Rodes e segna
il punto più elevato del gruppo Redorta-Cocca-Rodes.
Di questa importantissima ascensione, riuscita per i meriti veramente
eccezionali della guida Baroni, verrà stampata una estesa relazione in uno dei
prossimi numeri della Rivista Alpina, oppure nel Bollettino del Club Alpino
Italiano (il resoconto che avete letto prima di questa breve relazione)”.
*Anticamente il Pizzo di Coca era denominato “Cocca” e soltanto più tardi
verrà confermata come la vetta più alta delle Alpi Orobie.
24 agosto 2024
La vetta della Punta di Scais ci accoglie con un'atmosfera quasi magica e il pensiero non può che volare ai fortissimi cinque primi salitori di questa cima... LA cima per eccelenza delle Alpi Orobie.
Partiti da casa all'1:10 non pensavamo di godere dopo (solo) una manciata di ore di tanta bellezza!
Il percorso:
Agneda (Piateda Alta) Sondrio,
Diga di Scais,
Capanna Mambretti,
Vedretta di Scais (raggiunta percorrendo per un tratto il sentiero che va verso la Scaletta),
Camino Baroni (III)
Punta di Scais.
Con me Yuri!
P.S. I racconti sono fine 800 inizi 900 mentre gli scatti del 2024.
L' AlbAurora alla Capanna Mambretti preannuncia una giornata indelebile!
Transito dal lago di Scais a notte inoltrata!
La "prua" della Cresta Corti, il Pizzo Porola e le cime di Caronno alle prime ore del giorno.
SelvaggiOrobia ormai sei parte della mia anima e del mio cuore.
Vedretta di Scais e contrafforti del Pizzo della Brunone.
Quasi all'attacco del Camino Baroni; ogni anno che passa è sempre peggio arrivare alla base del Camino Baroni.
Si ampliano gli orizzonti!
La spettacolare rampa del Camino Baroni… pioniere indiscusso delle Alpi Orobie!
Finalmente una giornata senza nebbie in quota.
È sempre fantastico arrivare quassù.
Qui tutto è pura magia, qui è pura OROBIA!
Torrione Occidentale della Scais traversato qualche anno fa in salita dalla cresta Corti!
Le piccole croci storiche della Punta di Scais; quella più piccola è dedicata al Mambretti.
Quella più grande sinceramente si poteva evitare.
Vince la bellezza… vincono le Orobie!
Ciao Punta di Scais, grazie di tutto… ci vediamo!
Inizia il “festival” delle calate per scendere.
Tutto intorno si sta rannuvolando ma chissenefrega; il piccolo desiderio dello Scais in giornata è realizzato!
Sotto i bastioni.
Si scende in fretta perché stamattina una scarica di neve e ghiaccio che ci ha mancati per poco!
Finestre che riempiono il cuore!
Il “re” della vedretta di Scais.
Mai visti così tanti stambecchi come quest’anno da quelle parti.
Ritorno alla Mambretti.
Per me il posto più bello del mondo!
Il lago di Scais quest’anno è uno spettacolo.Grazie Punta di Scais, grazie Yuri ma soprattutto grazie Orobie!