giovedì 26 settembre 2024

Punta di Scais 1881 Vs 2024

 Carissimi viaggiatori d’Orobia,
avviso voi altri che codesto sarà un racconto completamente “pionieristico”; per questo motivo la descrizione della montagna e successivamente l’ascesa del Camino Baroni verranno descritte come se fossimo agli albori dell’alpinismo.
Solo una piccola premessa.
Dopo le recenti “ultime sfighe” non pensavo proprio di riabbracciare partendo da casa “la seconda celebratissima vetta delle Alpi Orobie”.
La vetta per eccellenza dell’Orobia più profonda e selvaggia; la cima che più di ogni altra ha rappresentato e raccontato la storia di questo meraviglioso gruppo montuoso.

“m 3039 – Seconda celebratissima vetta della Alpi Orobie, sorgente come aguzza cuspide dalla linea orografica principale, sulla quale ha un breve sviluppo verso il N, con una bella spalla, e maggior sviluppo verso il S, con una cospicua ardita torre, il Torrione Curò e una elevazione dalle linee più modeste (m 2997) non di rado nominata, non si sa con qual spirito, Fetta di Polenta, delimitante a settentrione la Bocchetta di Scais, col qual nome è stata non di rado indicata erroneamente la breccia che non merita nome fra il Torrione Curò e la vetta estrema.
Verso la V. di Coca l’ossatura della Punta di Scais è costituita essenzialmente da un robusto costolone che si stacca dai fianchi della q. 2997, limitato da ben incisi canaloni che scendono dalla Bocchetta di Scais e dalla Bocchetta meridionale di Porola. Sul versante abduano la montagna si sviluppa maggiormente co un potente crestone, diretto a NO, a dividere i due valloni ove sono le Vedrette di Scais e di Porola.
Questo crestone, appena sotto la vetta, corre per un buon tratto dentellato e pressoché orizzontale, per abbassarsi poi a una cospicua depressione e sollevarsi tosto a una ultima grande elevazione m 2970, il Torrione Occidentale della Scais, dopo il quale declina quasi regolarmente, con qualche leggero intaglio e qualche variazione, fino al suo ultimo balzo che domina la valle con aspetto arditamente pittoresco visto dalla valle, stupendamente dal Rifugio Mambretti”.

3 luglio 1881
L. Albani,
G. Nievo,
A. Baroni,
L. Bonetti,
I. Zamboni.

“Noi eravamo così disposti: Baroni, Albani, che stimò conveniente non mai staccarsi dal primo, Zamboni, io e Bonetti, tutti legati alla distanza di 5 o 6 metri l’uno dall’altro.
Fin là la neve fu in buone condizioni; però man mano che ci innalzavamo nel canalone essa si induriva sempre di più, finché divenne puro ghiaccio, e Baroni dovette lavorare di Piccozza. Si saliva lentamente colle mani e coi piedi agghiacciati sotto la gragnuola che Baroni ci faceva rovinare addosso scavando i passi. Finalmente si toccò la roccia, ma questa era così in cattivo stato, che i primi vi si erano già assicurati da un quarto d’ora mentre noi eravamo ancora sul ghiaccio. Allora la grandine di ghiaccio si cambiò in una grandine di pietre, che si potevano schivare collo stare appiccicati contro il monte, mentre esse piombavano sul sottostante ghiacciaio. Qualche frantume ci colpì, ma dall’alto Baroni gridava: ‘che ghe bada miga’.
Però ci dovette badar lui quando si trovò contro ad un masso sporgente che sbarrava il cammino; per quanto tenti, non trova modo di sorpassare quel maledetto impedimento; inoltre lo impensierisce il riflettere, che si sarebbe poi dovuto venir giù e lui ultimo senza l’aiuto della corda. Ci eravamo fermati tutti aggrappati al canalone nelle più strane positure, e nessuno fiatava.
Finalmente, in una posizione difficilissima, Baroni trovò il mezzo di levarsi le scarpe, di deporle in una spaccatura, raccomandando però di non toccarle al nostro passaggio che sarebbero precipitate sul ghiacciaio, poi con uno sforzo supremo si portò al di sopra di quella sporgenza.
In quel momento ci parve trasfigurato in un Dio della montagna; noi e le altre due guide lo ammirammo estasiati.
Prima di tirarci su anche noi, si staccò dalla corda, e volle esplorare il rimanente della montagna, per risparmiarci una fatica inutile nel caso di un’assoluta impossibilità di proseguire.
Finalmente ricomparve e ci disse che era arrivato fin dove aveva visto la probabilità di toccare la cima, e aggiunse ‘me ghen do seu, ma lur no’.
Noi ci sentimmo stringere internamente da un sentimento d’indicibile rincrescimento. Baroni in quell’istante era l’arbitro del nostro destino, e noi attendevamo qualche sua altra parola come il responso di un oracolo. Dopo qualche minuto di riflessione egli ci disse: ‘però se si levano le scarpe si potrebbe tentare’.
Un grido generale di ‘avanti’! fu la nostra risposta. Allora egli ci tira su ad uno ad uno e cautamente ci guida fino in cima a quel camino, ove ci troviamo su un bocchetto incassato fra una gran parete a piombo, che ci sovrasta a sud, e un’altra di una ripidezza spaventosa, liscia, con leggiere e irregolari intaccature a nord, a cui le guide danno il nome di ‘piodessa’, ed è per di là che si deve continuare. Ivi si deposero le scarpe, e quantunque non si sapesse proprio come si sarebbe andati lassù, ci affidammo completamente al Baroni.
Questi si inerpica fin dove può stare al sicuro e di là aiuta colla corda Albani a raggiungerlo; Zamboni lo segue e aiuta me mentre che i primi due mantenendo la corda ben tesa lo sostengono validamente; Bonetti ci vien dietro nell’istesso modo; e questa operazione si ripete più volte, avendo sempre l’avvertenza di muoverci uno alla volta e tenendo la corda tesa.
Le pietre taglienti ci facevano sanguinare i piedi, ma non ci abbadava. L’ultimo tratto fu il più pericoloso dovendosi superare tutto dal lato che piomba sulla Vedretta di Scais; la rottura della corda, un accidente qualunque ci avrebbe fatto fare un volo di 500 o 600 metri.
Verso le 10 ½ un’esclamazione di gioia del Baroni annuncia l’incontestabile nostra vittoria; un evviva generale s’innalza al cielo; la bottiglia è sturata e un buon bicchiere di marsala ci rincora dopo le ansie dell’ascensione.
Il cielo era smagliante; la vista che si gode dal Rodes (anticamente la Punta di Scais era denominata Rodes, nda) è press’a poco quella che si ammira dal Cocca e dal Redorta; qualche tratto della Valtellina, i colossi della Disgrazia e del Bernina coi loro ghiacciai, il gruppo dell’Ortler, l’Adamello, e le Prealpi Bergamasche, di cui potevamo discernere con compiacenza tante cime salite d’estate e d’inverno.
Sotto i nostri piedi si vedevano il ghiacciaio di Scais, quello di Rodes, compreso fra il gruppo principale del Rodes ed il suo braccio occidentale diramantesi precisamente dal pizzo maggiore, e la Valle di Cocca oltre il lago. Il Cocca si presentava in apparenza inaccessibile, ed il Redorta tutto bianco di neve era imponente; traguardandolo attraverso a un bicchiere di vino osservai che era più basso.
Il barometro segnò 527 millimetri e il termometro +11°, il che diede un’altezza di circa metri 3060. Si può quindi ritenere, fino a che non saranno ultimati gli studi trigonometrici che si stanno facendo dallo Stato Maggiore, che la cima del Rodes (Punta di Scais, nda) è la più elevata delle altre punte delle Prealpi Bergamasche.
Non c’era traccia lassù di altra ascensione, quindi rimase confermata la nostra supposizione che quella vetta fosse ancora inesplorata. Fu costrutto un ometto di pietra di circa 60 centimetri, e vi si ripose la bottiglia coi nostri biglietti e con una relazione dell’ascensione.
Si rimase colà circa 2 ore, ma non potrei dire che ci si stesse coll’animo tranquillo. L’apprensione di dover fare la discesa per dove eravamo saliti, lo spazio ristretto, gli abissi che avevamo ai lati ci facevamo provare una certa emozione; nessuno di noi poteva voltarsi senza smuovere delle pietre che precipitando parevano facessero tremare la montagna”. Nessuno si era slegato e ciò per prevenire qualunque possibile accidente.
Alle 12,30 Baroni ordinò la partenza. Bonetti, a cui toccava incamminarsi, chiese da qual parte doveva discendere.
‘Ma da dove siamo saliti’, gli rispose Baroni; allora il bravo Bonetti, che aveva dato prova incontestabile di forza, coraggio ed esperienza, fu assalito da una specie di panico che lo rese esitante. Ma fu un fenomeno nervoso passeggiero. Si fece animo e giù, seguito da me, Zamboni e da Albani; si scompariva l’uno dopo l’altro come se fossimo sprofondati in un pozzo.
Ultimo veniva Baroni, che dopo averci sostenuti ci raggiungeva strisciando su quell’inclinatissimo lastrone in modo ammirabile, da farci gelare il sangue nelle vene.
Ci fu un istante, poco prima di toccare il bocchetto, che lo si vide aggrappato colle mani alla roccia cercare invano coi piedi punto di appoggio.
Alle due eravamo riuniti tutti sul bocchetto, ove si ripresero le scarpe. La ci slegammo per avere la corda in tutta la sua lunghezza, e uno dopo l’altro fummo con quella calati giù nel camino fino ad una specie di nicchia, dove eravamo al sicuro dai sassi che precipitavamo smossi da quelli che venivano dopo.
Baroni ci raggiunse chi sa come; nell’istessa guisa scendemmo la parte del canalone coperta dal ghiaccio. Giunti alla base del suddetto, ci rilegammo come prima, e si rifecero cautamente e le cornici e i nevai, finché alle 5 e mezza ponemmo di nuovo il piede, incolumi, sulla Vedretta del Redorta”.
Ingegnere Giuseppe Nievo
Socio della Sezione di Bergamo del CAI

Originariamente la Punta di Scais era denominata Pizzo di Rodes e a tal proposito ho scovato un’importante relazione di un Segretario CAI di Bergamo del 1881 dal titolo “ascensione al Rodes” che ne convalidò la prima ascesa.
“I colleghi ing. G. Nievo ed ing. Luigi Albani colle guide Baroni, Zamboni e Bonetti, stabilirono di raggiungere ad ogni costo la vergine vetta del Pizzo di Rodes.
Il giorno 1° luglio tentarono la salita dal lato del Passo di Cocca* ma le sorti non furono loro propizie e la salita non potè essere effettuata per le insuperabili difficoltà incontrate. Non perciò scoraggiati girarono la posizione e il giorno 3 luglio prendendo le mosse dal Passo della Scala, riuscivano a domare quel colosso, prendendo possesso dell’ancor vergine punta culminante delle creste del Rodes (3056 m).
Questa vetta corrisponde sulla carta dello Stato Maggiore Austriaco al noto situato a otto millimetri al S.S.O. della lettera S della parola Rodes e segna il punto più elevato del gruppo Redorta-Cocca-Rodes.
Di questa importantissima ascensione, riuscita per i meriti veramente eccezionali della guida Baroni, verrà stampata una estesa relazione in uno dei prossimi numeri della Rivista Alpina, oppure nel Bollettino del Club Alpino Italiano (il resoconto che avete letto prima di questa breve relazione)”.
*Anticamente il Pizzo di Coca era denominato “Cocca” e soltanto più tardi verrà confermata come la vetta più alta delle Alpi Orobie.

24 agosto 2024
La vetta della Punta di Scais ci accoglie con un'atmosfera quasi magica e il pensiero non può che volare ai fortissimi cinque primi salitori di questa cima... LA cima per eccelenza delle Alpi Orobie.
Partiti da casa all'1:10 non pensavamo di godere dopo (solo) una manciata di ore di tanta bellezza!
Il percorso:
Agneda (Piateda Alta) Sondrio,
Diga di Scais,
Capanna Mambretti,
Vedretta di Scais (raggiunta percorrendo per un tratto il sentiero che va verso la Scaletta),
Camino Baroni (III)
Punta di Scais.
Con me Yuri!
P.S. I racconti sono fine 800 inizi 900 mentre gli scatti del 2024.



L' AlbAurora alla Capanna Mambretti preannuncia una giornata indelebile!


Transito dal lago di Scais a notte inoltrata!


La "prua" della Cresta Corti, il Pizzo Porola e le cime di Caronno alle prime ore del giorno.


SelvaggiOrobia ormai sei parte della mia anima e del mio cuore.


Vedretta di Scais e contrafforti del Pizzo della Brunone.


Quasi all'attacco del Camino Baroni; ogni anno che passa è sempre peggio arrivare alla base del Camino Baroni.


Si ampliano gli orizzonti!


La spettacolare rampa del Camino Baroni… pioniere indiscusso delle Alpi Orobie!


Finalmente una giornata senza nebbie in quota.


È sempre fantastico arrivare quassù. 
Qui tutto è pura magia, qui è pura OROBIA!


Torrione Occidentale della Scais traversato qualche anno fa in salita dalla cresta Corti!


Le piccole croci storiche della Punta di Scais; quella più piccola è dedicata al Mambretti.
Quella più grande sinceramente si poteva evitare.


Vince la bellezza… vincono le Orobie! 
Ciao Punta di Scais, grazie di tutto… ci vediamo!


Inizia il “festival” delle calate per scendere. 
Tutto intorno si sta rannuvolando ma chissenefrega; il piccolo desiderio dello Scais in giornata è realizzato!


Sotto i bastioni. 
Si scende in fretta perché stamattina una scarica di neve e ghiaccio che ci ha mancati per poco!


Finestre che riempiono il cuore!


Il “re” della vedretta di Scais. 
Mai visti così tanti stambecchi come quest’anno da quelle parti.


Ritorno alla Mambretti. 
Per me il posto più bello del mondo!


Il lago di Scais quest’anno è uno spettacolo.
Grazie Punta di Scais, grazie Yuri ma soprattutto grazie Orobie!

giovedì 19 settembre 2024

Pizzo Rondenino - Cresta Orientale (traversata integrale) 2024

 Dopo un po’ di riposo forzato dettato da qualche problema fisico eccomi, finalmente, a raccontarvi ancora delle “belle Orobie”.
Sono stati anni un po’ difficili e per certi versi pesanti ma che hanno fatto ulteriormente accrescere la mia grande voglia d’Orobia.
Orobia, appunto, un piccolo nome per un grande amore!

L’estate del 2024, orobicamente parlando, la ricorderò come una delle più belle della mia vita in quanto ricca d’avventure solitarie, faticose ma di grandi soddisfazioni.
Salite non particolarmente difficili ma comunque appaganti sotto ogni punto di vista.
Per questo motivo ho deciso di riattivare questo blog pubblicando periodicamente una di queste uscite.
Partiremo con la traversata integrale del Pizzo Rondenino concatenato col Monte Aga e il Pizzo di Cigola; una (gran) bella cavalcata, solitaria in questo caso, contraddistinta da un ambiente orobico DOC.
Come mia consuetudine racconterò l’itinerario in modo pionieristico lasciando parlare (soprattutto) le immagini.
Quest’estate in molti mi avete fermato lungo i sentieri raccontandomi di come questo blog sia diventato compagno ma soprattutto spunto delle vostre avventure. Sono molto onorato di tutto ciò e mai smetterò di ringraziarvi!
Del Pizzo Rondenino scrissero: “è la ben spiccata elevazione della creta, nel centro della testata di V. d’Ambria. Talvolta nominato Punta di Podavite.
Particolarità del Pizzo Rondenino sono infatti i due nomi: Rondenino, per l’appunto, e Punta di Podavite!
Dal lato valtellinese si presenta quale muraglia di altissime nere piodesse con un potente crestone mediano; sul versante brembano invece è un pendio assai ripido.
La cresta orientale ha due tratti ertissimi”.

La traversata integrale dalla Bocchetta di Podavite al Monte Aga non è difficile ma richiede comunque attenzione; necessita di una calata a corda doppia da 15 metri, quindi basta una corda da 30 metri, e le difficoltà si attestano intorno al II grado.
La sosta per la calata è posizionata qualche metro più in basso della prima anticima che si incontra salendo da Podavite.
Il tratto dalla vetta al Monte Aga è altrettanto altalenante e divertente e richiede anche in questo caso un po’ di attenzione.
Dal Monte Aga è possibile raggiungere anche il Pizzo di Cigola tramite creste seppur con piglio decisamente avventuroso (e con la giusta esperienza su questo tipo di terreno) soprattutto nel primo tratto turrito ed esposto.
La discesa verso il Passo di Cigola è altresì delicata e comporta passi di II grado (forse qualcosina in più in alcuni brevi tratti).
Chi non se la sentisse di percorrere quest’ultima parte dell’itinerario può comunque scendere dalla via normale del Monte Aga per poi risalire al Pizzo di Cigola.
Il giro è abbastanza lungo ma, credetemi, di grande soddisfazione!

L’itinerario originale per il fianco orientale.
“Dalla Bocchetta di Podavite m 2624 si va presso la cresta, per salire i pendii del primo salto nei pressi del filo. Si appoggia poi più decisamente sul versante meridionale (nell’itinerario sopra descritto ho percorso la cresta integrale quindi senza appoggiare sul versante meridionale) per continuare fino alla vetta”.
Buona lettura/visione!


La centrale di Carona vestita a festa durante la notte.


L'aurora al Lago del Diavolo!


Incisioni rupestri della Val Camisana.


Le pittoresche torri che disegnano la cresta orientale.


I diavoli durante la percorrenza della cresta.


Da questo scatto si comprende il motivo del nome 'Punta di Podavite'!


Val Camisana e Prealpi Bergamasche.


I diavoli sempre a vigilare!


La calata per superare un salto di 15 metri.


Finestra verso Nord!


Particolare sulla breve calata.


In vista della cima!


Il colpo d'occhio spettacolare del Pizzo Rondenino.


La bella Val d'Ambria.


Scendo con cautela cercando di restare sempre in cresta.


Sguardo in direzione della costiera del Cabianca.


Ambiente spettacolare e mai difficile. Divertimento SUPER!


Il baratro sotto le scarpette!


Finestre privilegiate!


Il laghetto Pennati quest'anno resterà nascosto.


Particolari che profumano di storia.


Eccomi sul Monte Aga!


A picco il Lago del Diavolo.


Direzione Pizzo di Cigola.


In vetta al Cigola; stanco ma decisamente soddisfatto.


Avrei voluto spingermi fin verso i Masoni, ma dovevo tenere le forze per altre avventure super-orobiche!


Si scende con gli occhi pieni di bellezza.


Grazie Orobie!