mercoledì 4 settembre 2019

Punta di Scais - Camino Baroni

Il display del cellulare s’illumina lasciando scorgere il nome di Filippo.
“Domenica la ditta mi ha liberato; si fa qualcosa”?
Più che una risposta la mia è una proposta (pressoché) indecente (!).
“Facciamo la Punta di Scais in giornata”?
La risposta di Filippo non tarda ad arrivare.
“Mavaffanculo… va.
Scherzo… va.
Dai che proviamo… va”!
Detto… fatto.

Una domenica di fine agosto 2019.
Le gallerie della Lecco Colico scandiscono i BPM (battiti per minuto) dell’autoradio; sono le 03:00 e per restare sveglio mi sono inventato la “zarro night”, ossia Gigi D’Agostino a manetta!
L’amour Tojour, Bla bla bla, Another way, Gigi’s time e Another way.
Ma davvero ascoltavo questa robaccia quando ero (g)giovane e spensierato?
Un po’ mi vergogno anche se il “Dag”… è sempre il “Dag”, e comunque sia mi sta tenendo sveglio!
Filippo è assopito, mentre io canto:

“Living in another way,
To live it up just another day
Living in another way
(Don't stop don't stop don't stop put it down)
Living in another way,
To live it up every single day
Living in another way
(don't stop don't stop put it down)”.

Nei pressi della Piana di Agneda regna l’oscuro silenzio e il transito dalla diga di Scais illuminata a giorno ci regala un’emozione del tutto inaspettata.
Che figata!
Alla Capanna Mambretti è da poco sorto il sole e veniamo accolti da una compagnia di 13 (!) ragazzi che hanno trascorso la notte nel rifugio più bello del mondo (maledetti… vi odio)!
Tra uno sbadiglio e l’altro iniziamo una flebile discussione.
“Buongiorno ragazzi, come va”?
Senza rispondere uno di loro mi osserva stralunato e con stupore se ne esce fuori con un laconico:
“Cioè fatemi capire, ma a che ora siete partiti?
“Ma non era buio”?
“Ma non avete sonno”?
“Ma siete fuori”?
Comprendo che sia lui quello ancora fuori (probabilmente dai fumi della nottata) perciò Inizio a ridere come uno scemo!
Alla fine sono ragazzi e, nonostante abbiano “festonato” per buona parte della notte, ci offrono pure un buon caffè!
“Dove state andando”? Prosegue uno di loro.
“Alla Punta di Scais”, rispondo assonnato, ma soddisfatto dal caldo caffè.
“Si, si, siete proprio fuori”!
Ridiamo un’altra volta e, dopo esserci salutati, prendiamo armi e bagagli avviandoci verso la Vedretta di Scais seguendo le indicazioni per il Passo della Scaletta.
Giunti ai piedi dell’ormai estinta vedretta abbandoniamo il sentiero e iniziamo a salire “ad cazzum” tra pietraie spacca gambe e richiami di solitari stambecchi.
Silenziosamente inizio a pensare e… ricordare.


Bollettino CAI, 1882
“Noi eravamo così disposti: Baroni, Albani, che stimò conveniente non mai staccarsi dal primo, Zamboni, io e Bonetti, tutti legati alla distanza di 5 o 6 metri l’uno dall’altro.
Fin là la neve fu in buone condizioni; però man mano che ci innalzavamo nel canalone essa si induriva sempre di più, finché divenne puro ghiaccio, e Baroni dovette lavorare di Piccozza. Si saliva lentamente colle mani e coi piedi agghiacciati sotto la gragnuola che Baroni ci faceva rovinare addosso scavando i passi. Finalmente si toccò la roccia, ma questa era così in cattivo stato, che i primi vi si erano già assicurati da un quarto d’ora mentre noi eravamo ancora sul ghiaccio. Allora la grandine di ghiaccio si cambiò in una grandine di pietre, che si potevano schivare collo stare appiccicati contro il monte, mentre esse piombavano sul sottostante ghiacciaio. Qualche frantume ci colpì, ma dall’alto Baroni gridava: ‘che ghe bada miga’.
Però ci dovette badar lui quando si trovò contro ad un masso sporgente che sbarrava il cammino; per quanto tenti, non trova modo di sorpassare quel maledetto impedimento; inoltre lo impensierisce il riflettere, che si sarebbe poi dovuto venir giù e lui ultimo senza l’aiuto della corda. Ci eravamo fermati tutti aggrappati al canalone nelle più strane positure, e nessuno fiatava.
Finalmente, in una posizione difficilissima, Baroni trovò il mezzo di levarsi le scarpe, di deporle in una spaccatura, raccomandando però di non toccarle al nostro passaggio che sarebbero precipitate sul ghiacciaio, poi con uno sforzo supremo si portò al di sopra di quella sporgenza.
In quel momento ci parve trasfigurato in un Dio della montagna; noi e le altre due guide lo ammirammo estasiati.
Prima di tirarci su anche noi, si staccò dalla corda, e volle esplorare il rimanente della montagna, per risparmiarci una fatica inutile nel caso di un’assoluta impossibilità di proseguire.
Finalmente ricomparve e ci disse che era arrivato fin dove aveva visto la probabilità di toccare la cima, e aggiunse ‘me ghen do seu, ma lur no’.
Noi ci sentimmo stringere internamente da un sentimento d’indicibile rincrescimento. Baroni in quell’istante era l’arbitro del nostro destino, e noi attendevamo qualche sua altra parola come il responso di un oracolo. Dopo qualche minuto di riflessione egli ci disse: ‘però se si levano le scarpe si potrebbe tentare’.
Un grido generale di ‘avanti’! fu la nostra risposta. Allora egli ci tira su ad uno ad uno e cautamente ci guida fino in cima a quel camino, ove ci troviamo su un bocchetto incassato fra una gran parete a piombo, che ci sovrasta a sud, e un’altra di una ripidezza spaventosa, liscia, con leggiere e irregolari intaccature a nord, a cui le guide danno il nome di ‘piodessa’, ed è per di là che si deve continuare. Ivi si deposero le scarpe, e quantunque non si sapesse proprio come si sarebbe andati lassù, ci affidammo completamente al Baroni.
Questi si inerpica fin dove può stare al sicuro e di là aiuta colla corda Albani a raggiungerlo; Zamboni lo segue e aiuta me mentre che i primi due mantenendo la corda ben tesa lo sostengono validamente; Bonetti ci vien dietro nell’istesso modo; e questa operazione si ripete più volte, avendo sempre l’avvertenza di muoverci uno alla volta e tenendo la corda tesa.
Le pietre taglienti ci facevano sanguinare i piedi, ma non ci abbadava. L’ultimo tratto fu il più pericoloso dovendosi superare tutto dal lato che piomba sulla Vedretta di Scais; la rottura della corda, un accidente qualunque ci avrebbe fatto fare un volo di 500 o 600 metri.
Verso le 10 ½ un’esclamazione di gioia del Baroni annuncia l’incontestabile nostra vittoria; un evviva generale s’innalza al cielo; la bottiglia è sturata e un buon bicchiere di marsala ci rincora dopo le ansie dell’ascensione.
Il cielo era smagliante; la vista che si gode dal Rodes
(anticamente la Punta di Scais era denominata Rodes, nda) è press’a poco quella che si ammira dal Cocca e dal Redorta; qualche tratto della Valtellina, i colossi della Disgrazia e del Bernina coi loro ghiacciai, il gruppo dell’Ortler, l’Adamello, e le Prealpi Bergamasche, di cui potevamo discernere con compiacenza tante cime salite d’estate e d’inverno.
Sotto i nostri piedi si vedevano il ghiacciaio di Scais, quello di Rodes, compreso fra il gruppo principale del Rodes ed il suo braccio occidentale diramantesi precisamente dal pizzo maggiore, e la Valle di Cocca oltre il lago. Il Cocca si presentava in apparenza inaccessibile, ed il Redorta tutto bianco di neve era imponente; traguardandolo attraverso a un bicchiere di vino osservai che era più basso.
Il barometro segnò 527 millimetri e il termometro +11°, il che diede un’altezza di circa metri 3060. Si può quindi ritenere, fino a che non saranno ultimati gli studi trigonometrici che si stanno facendo dallo Stato Maggiore, che la cima del Rodes
(Punta di Scais, nda) è la più elevata delle altre punte delle Prealpi Bergamasche.
Non c’era traccia lassù di altra ascensione, quindi rimase confermata la nostra supposizione che quella vetta fosse ancora inesplorata.
Fu costrutto un ometto di pietra di circa 60 centimetri, e vi si ripose la bottiglia coi nostri biglietti e con una relazione dell’ascensione.
Si rimase colà circa 2 ore, ma non potrei dire che ci si stesse coll’animo tranquillo. L’apprensione di dover fare la discesa per dove eravamo saliti, lo spazio ristretto, gli abissi che avevamo ai lati ci facevamo provare una certa emozione; nessuno di noi poteva voltarsi senza smuovere delle pietre che precipitando parevano facessero tremare la montagna”. Nessuno si era slegato e ciò per prevenire qualunque possibile accidente.
Alle 12,30 Baroni ordinò la partenza. Bonetti, a cui toccava incamminarsi, chiese da qual parte doveva discendere.
‘Ma da dove siamo saliti’, gli rispose Baroni; allora il bravo Bonetti, che aveva dato prova incontestabile di forza, coraggio ed esperienza, fu assalito da una specie di panico che lo rese esitante. Ma fu un fenomeno nervoso passeggiero. Si fece animo e giù, seguito da me, Zamboni e da Albani; si scompariva l’uno dopo l’altro come se fossimo sprofondati in un pozzo.
Ultimo veniva Baroni, che dopo averci sostenuti ci raggiungeva strisciando su quell’inclinatissimo lastrone in modo ammirabile, da farci gelare il sangue nelle vene.
Ci fu un istante, poco prima di toccare il bocchetto, che lo si vide aggrappato colle mani alla roccia cercare invano coi piedi punto di appoggio.
Alle due eravamo riuniti tutti sul bocchetto, ove si ripresero le scarpe. La ci slegammo per avere la corda in tutta la sua lunghezza, e uno dopo l’altro fummo con quella calati giù nel camino fino ad una specie di nicchia, dove eravamo al sicuro dai sassi che precipitavamo smossi da quelli che venivano dopo.
Baroni ci raggiunse chi sa come; nell’istessa guisa scendemmo la parte del canalone coperta dal ghiaccio. Giunti alla base del suddetto, ci rilegammo come prima, e si rifecero cautamente e le cornici e i nevai, finché alle 5 e mezza ponemmo di nuovo il piede, incolumi, sulla Vedretta del Redorta”.

Giunti alla base della ripida rampa che conduce all’imbocco del Camino Baroni, sinceramente pensavo che l’avvicinamento da Agneda fosse più corto, continuo a ricordare… a sognare.

Seconda celebratissima vetta delle Alpi Orobie, sorgente come aguzza cuspide dalla linea orografica principale, sulla quale ha un breve sviluppo verso Nord, con una bella spalla, e maggior sviluppo verso Sud, con una cospicua ardita torre, il Torrione Curò e una elevazione dalle linee più modeste (2297 m) non di rado nominata, non si sa con qual spirito, Fetta di Polenta, delimitante a settentrione la Bocchetta di Scais, col qual nome è stata non di rado indicata erroneamente la breccia che non merita nome fra il Torrione Curò e la vetta estrema.
Verso la Val di Coca l’ossatura della Punta di Scais è costituita essenzialmente da un robusto costolone che si stacca dai fianchi della Quota 2997, limitato da ben incisi canaloni che scendono dalla Bocchetta di Scais
(Tua, nda) e dalla Bocchetta Meridionale di Porola.
Sul versante Abduano la montagna si sviluppa maggiormente con un potente crestone, diretto a Nord-Ovest
(la Cresta Corti, nda), a dividere i due valloni ove sono le vedrette di Scais e di Porola. Questo crestone, appena sotto la vetta, corre per un buon tratto dentellato e pressoché orizzontale, per abbassarsi poi a una cospicua depressione e sollevarsi tosto a una ultima grande elevazione 2970 m, il Torrione Occidentale della Scais, dopo il quale declina quasi regolarmente, con qualche leggero intaglio e qualche variazione, fino al suo ultimo balzo (la Prua della Cresta Corti, nda) che domina la valle con aspetto arditamente pittoresco soprattutto se visto dal Rifugio Mambretti”.

Ho un sussulto!
Siamo all’attacco del camino e siccome di relazioni moderne se ne trovano a iosa, ho deciso di donarvi integralmente la relazione della prima ascesa compiuta dal fortissimo Baroni e descritta in maniera impeccabile da Giuseppe Nievo.
Roba da pionieri.
Roba buona.
Insomma, buona lettura!

“Itinerario vario e divertente, di gran voga, seppur breve nella sua parte alpinistica, sovente è percorso in discesa dopo la salita per la via Bonomi: percorso in salita e in discesa dai primi vincitori della Punta di Scais.
Si risale nel suo mezzo il lungo pendio di
sfasciumi (negli ultimi anni questo tratto è diventato un vero e proprio delirio di ravanata pressoché insensata) fino alla evidente foce del canale che ne domina la sommità.
La s’imbocca e se ne risale un primo tratto sulle buone rocce della destra idrografica fin dove il canale si restringe e forma un erto e profondo camino alto una ventina di metri che ha appigli e ripiani che concedono una buona seppur non facile arrampicata (alla sommità del camino è un chiodo con anello per la corda doppia da usare opportunamente nella discesa).
Quando il camino in alto si allarga si procede con facilità verso la breccia, a monte del Torrione Curò, quindi volgendo a sinistra per la cresta di roccia rotta e tenendosi leggermente sul versante orientale, s’incontra un salto verticale, netto, di un paio di metri, con buoni appigli.
Lo si supera e si incontra un maggior salto, costituito da una piodessa inclinatissima, volta a Sud-Ovest, ergentesi sopra un vano.
Con una grossa corda fissa a nodi
(attenzione, oggi questa corda fissa non esiste più, nda), ci si issa, da un masso piedistallo, sulla piodessa che si risale con la corda stessa, quindi si seguita presso il filo e si raggiunge in breve la vetta”.
Volendo la piodessa è evitabile sulla sinistra sfruttando una incisione/canalino che sbuca proprio sopra la piodessa in prossimità della sosta utile per la calata del rientro.
 
Prima che arrivi Filippo mi inginocchio e ringrazio; la Punta di Scais in giornata dalla Valtellina per me è un piccolo sogno realizzato.
Ci stringiamo la mano osservando il colpo d’occhio semplicemente straordinario.
Siamo felici… per non dire felicissimi e ci godiamo quei pochi istanti come due bambini alle prese con un giocattolo nuovo.

Il ritorno sarà il classico festival delle calate a corda doppia!
Sarò sincero; fino a pochi giorni fa pensavo che il 2019 fosse un anno da dimenticare, mentre invece da quella domenica di fine agosto quel pensiero è mutato.
Grazie Filippo e grazie Orobie!



La diga di Scais illuminata è proprio una bellezza!


 Il posto più magico delle Alpi Orobie... e non solo!


Porola e Caronno riflesse sulle Sette Cime del Medasc!


La "Prua", ossia l'attacco della Cresta Corti.


Ci fa strada il padrone di casa!



Fetta di Polenta, Torrione Curò e Punta di Scais.
Se il buongiorno si vede dal mattino...



Iniziano le danze nel magico (e verticale) mondo della Punta di Scais!


All'imbocco del Camino Baroni.
Silenzio e bellezza.



"Baroni trovò il mezzo di levarsi le scarpe, di deporle in una spaccatura, raccomandando però di non toccarle al nostro passaggio che sarebbero precipitate sul ghiacciaio, poi con uno sforzo supremo si portò al di sopra di quella sporgenza.

In quel momento ci parve trasfigurato in un Dio della montagna; noi e le altre due guide lo ammirammo estasiati".


Sicuramente una delle finestre più belle ed ambite delle Alpi Orobie.


L'uscita del camino. 
Divertente e di buona roccia.


Sua maestà il Pizzo di Coca!


Una giornata di puro orgasmo orobico!


Si "passeggia" circondati da un fottio di bellezza.


Siamo in paradiso.


La giornata perfetta sulla vetta perfetta!


Montagne di una vita... montagne del mio cuore!


BimbiMinkia inSELFIEzzati!


Vedretta di Porola e Pizzo di Scotes.


Non pensavamo di trovare così bello.


Attimi preziosi.
Diciamolo pure; indimenticabili!


Passi esposti sotto un cielo meraviglioso.


La prima doppia dalla pioda... nel blu dipinto di blu!


Giù, tutto d'un fiato e senza pensarci troppo.


Filippo nel Camino Baroni.


Buttati che è morbido.
Ma anche no!


Il festival delle calate a corda doppia.


Arrivederci Punta di Scais e grazie per le belle emozioni.


Odio le doppie perchè hai sempre le palle nel vuoto (cit.)!


Sulla Vedretta di Scais a sfondo Rodes.
Un'altra giornata indimenticabile si sta per concludere.


Che posto meraviglioso!


Il cuore delle Alpi Orobie.




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