“Sbaglia
sempre chi resta a casa”; così recita una massima che spesso s’è
rivelata azzeccata durante questa grande avventura dedicata alla Alpi Orobie!
L’ultima via storica del Pizzo di Coca ci stava aspettando ma le previsioni da qualche giorno erano piuttosto pessimistiche : “molto nuvoloso in montagna e arrivo della perturbazione dalle ore 16:00”.
La salita in giornata alla Cresta/Spigolo Sud del Pizzo di Coca è tutto tranne che una passeggiata e l’indecisione regnava sovrana ma davvero… “sbaglia sempre chi resta a casa”?
“Ma si dai; al massimo arriviamo al laghetto di Coca e, se la situazione fa veramente cagare, torniamo a Valbondione con le pive nel sacco”! Comunico a Filippo.
La morale della favola?
La scoprirete guardando l’album fotografico!
Partiamo da Valbondione alle 05:00 con in testa, in loop, l’itinerario originale descritto dal Corti sulla bibbia orobica “Alpi Orobie” del ‘56 e giunti al Rifugio Coca prendiamo un buon caffè da Fabrizio godendoci lo spettacolo dell’alba; la levataccia degli avvicinamenti notturni viene ripagata con quei pochissimi minuti di rara bellezza.
“E’ la via metricamente più breve dal Rifugio Coca alla vetta e offre un’ottima arrampicata su ottime rocce. Percorrendone il filo si deve superare una breve difficoltà, la più dura del Coca e una delle più dure del gruppo, ma si può però, sebbene con minore interesse, evitarla”.
Curiosità vuole che la fascia sia stata evitata dai primi salitori perciò abbiamo uno dei pochi casi di due prime ascese!
La prima, evitando la parte difficile, è stata fatta da C. Luchsinger, F. Perolari e B. Sala il 15 luglio 1923, mentre il percorso completo è stato compiuto il 15 ottobre 1938 da A. e N. Corti.
Sono cinque (cog)nomi che amo follemente perciò, secondo il mio punto di vista, il merito va diviso equamente.
L’itinerario storico prosegue poi così… “dalla Bocchetta del Polledrino si attacca lo spigolo di ottime rocce, e lo si segue fino ad un piccolo sbarramento a strapiombo che si vince, valendosi di un canaletto sul versante di Coca e ritornando sul filo.
Poco dopo si hanno davanti, appena sul lato occidentale, due canali, uno largo a destra e uno a sinistra più stretto, quasi a camino. Ci si arrampica benissimo per questo e si riprende il filo, per un tratto facilissimo, fino ad un’interruzione dello spigolo, dominato quasi da una gran torre, che si supera senza speciali difficoltà e, dalla sua sommità, si discende leggermente a una più marcata interruzione di splendida roccia che per la metà inferiore è a gradoni, mentre la superiore è stagliata da una balza che ha un unico camino un po’ obliquo.
Dalla depressione si salgono i gradoni appoggiando un po’ a destra e si raggiunge la base del camino, che si risale su ottimi appigli per una decina di metri, alquanto duri, fino a una cengia assai inclinata che si svolge orizzontale verso destra (Est). Il camino si restringe, a fessura negli ultimi metri, dominando un gran salto (lasciatemelo sottolineare, ma questo passaggio non è assolutamente banale, nda).
Bisogna, appena attaccata la fessura, uscire a sinistra su una placca inclinatissima con minimi appigli, per ritrovarne altri più sicuri, sul margine della placca stessa e così superarla.
Si arriva ad un pendio di moderata inclinazione, di splendide rocce sode, che si salgono diagonalmente a destra, verso la sommità dell’ultimo cucuzzolo dello spigolo, donde in breve per pendio di sfasciumi si giunge alla vetta (2-3 ore dalla Bocchetta del Polledrino).
Per il tratto più alto e più esposto della fascia, può essere consigliabile un’assicurazione con mezzi artificiali”.
Sarò sincero, ma questo lo reputo uno dei racconti più belli e precisi che Alfredo Corti scrisse durante la grande esplorazione delle Alpi Orobie.
Racconto che se rapportato alla nostra descrizione rivista in chiave moderna cambia realmente di poco.
Innanzitutto sottolineo un’altra volta come il passo chiave non sia facile tant’è che all’interno del camino troverete tre chiodi e un friend incastrato. Sono pochi metri ma bastardi ed esposti!
Per l’avvicinamento bisogna seguire il segnavia CAI numero 323 che dal Rifugio Coca conduce al Rifugio Curò transitando dalla Bocchetta del Camoscio.
Superata la Bocchetta del Polledrino, facilmente riconoscibile da un piccolo basamento ove un tempo era stata posizionata una colonnina del telesoccorso, si scendono pochi metri nella conca sottostante abbandonando il segnavia e salendo verso sinistra un evidente canale spesso innevato culminante alla stretta breccia dove ha inizio la cresta/spigolo.
L’ultima via storica del Pizzo di Coca ci stava aspettando ma le previsioni da qualche giorno erano piuttosto pessimistiche : “molto nuvoloso in montagna e arrivo della perturbazione dalle ore 16:00”.
La salita in giornata alla Cresta/Spigolo Sud del Pizzo di Coca è tutto tranne che una passeggiata e l’indecisione regnava sovrana ma davvero… “sbaglia sempre chi resta a casa”?
“Ma si dai; al massimo arriviamo al laghetto di Coca e, se la situazione fa veramente cagare, torniamo a Valbondione con le pive nel sacco”! Comunico a Filippo.
La morale della favola?
La scoprirete guardando l’album fotografico!
Partiamo da Valbondione alle 05:00 con in testa, in loop, l’itinerario originale descritto dal Corti sulla bibbia orobica “Alpi Orobie” del ‘56 e giunti al Rifugio Coca prendiamo un buon caffè da Fabrizio godendoci lo spettacolo dell’alba; la levataccia degli avvicinamenti notturni viene ripagata con quei pochissimi minuti di rara bellezza.
“E’ la via metricamente più breve dal Rifugio Coca alla vetta e offre un’ottima arrampicata su ottime rocce. Percorrendone il filo si deve superare una breve difficoltà, la più dura del Coca e una delle più dure del gruppo, ma si può però, sebbene con minore interesse, evitarla”.
Curiosità vuole che la fascia sia stata evitata dai primi salitori perciò abbiamo uno dei pochi casi di due prime ascese!
La prima, evitando la parte difficile, è stata fatta da C. Luchsinger, F. Perolari e B. Sala il 15 luglio 1923, mentre il percorso completo è stato compiuto il 15 ottobre 1938 da A. e N. Corti.
Sono cinque (cog)nomi che amo follemente perciò, secondo il mio punto di vista, il merito va diviso equamente.
L’itinerario storico prosegue poi così… “dalla Bocchetta del Polledrino si attacca lo spigolo di ottime rocce, e lo si segue fino ad un piccolo sbarramento a strapiombo che si vince, valendosi di un canaletto sul versante di Coca e ritornando sul filo.
Poco dopo si hanno davanti, appena sul lato occidentale, due canali, uno largo a destra e uno a sinistra più stretto, quasi a camino. Ci si arrampica benissimo per questo e si riprende il filo, per un tratto facilissimo, fino ad un’interruzione dello spigolo, dominato quasi da una gran torre, che si supera senza speciali difficoltà e, dalla sua sommità, si discende leggermente a una più marcata interruzione di splendida roccia che per la metà inferiore è a gradoni, mentre la superiore è stagliata da una balza che ha un unico camino un po’ obliquo.
Dalla depressione si salgono i gradoni appoggiando un po’ a destra e si raggiunge la base del camino, che si risale su ottimi appigli per una decina di metri, alquanto duri, fino a una cengia assai inclinata che si svolge orizzontale verso destra (Est). Il camino si restringe, a fessura negli ultimi metri, dominando un gran salto (lasciatemelo sottolineare, ma questo passaggio non è assolutamente banale, nda).
Bisogna, appena attaccata la fessura, uscire a sinistra su una placca inclinatissima con minimi appigli, per ritrovarne altri più sicuri, sul margine della placca stessa e così superarla.
Si arriva ad un pendio di moderata inclinazione, di splendide rocce sode, che si salgono diagonalmente a destra, verso la sommità dell’ultimo cucuzzolo dello spigolo, donde in breve per pendio di sfasciumi si giunge alla vetta (2-3 ore dalla Bocchetta del Polledrino).
Per il tratto più alto e più esposto della fascia, può essere consigliabile un’assicurazione con mezzi artificiali”.
Sarò sincero, ma questo lo reputo uno dei racconti più belli e precisi che Alfredo Corti scrisse durante la grande esplorazione delle Alpi Orobie.
Racconto che se rapportato alla nostra descrizione rivista in chiave moderna cambia realmente di poco.
Innanzitutto sottolineo un’altra volta come il passo chiave non sia facile tant’è che all’interno del camino troverete tre chiodi e un friend incastrato. Sono pochi metri ma bastardi ed esposti!
Per l’avvicinamento bisogna seguire il segnavia CAI numero 323 che dal Rifugio Coca conduce al Rifugio Curò transitando dalla Bocchetta del Camoscio.
Superata la Bocchetta del Polledrino, facilmente riconoscibile da un piccolo basamento ove un tempo era stata posizionata una colonnina del telesoccorso, si scendono pochi metri nella conca sottostante abbandonando il segnavia e salendo verso sinistra un evidente canale spesso innevato culminante alla stretta breccia dove ha inizio la cresta/spigolo.
Da un mio vecchio scatto fatto dal pizzo di Redorta, la linea di salita alla Cresta/Spigolo Sud.
La doppia denominazione deriva dal fatto che anticamente questo itinerario era chiamato “spigolo” mentre oggi s’è trasformato in “cresta”. Per non sbagliare ho deciso di mantenere l’appellativo storico e moderno!
Dall’intaglio si sale facilmente alla sommità del primo torrioncello con passi divertenti di I massimo II grado scendendo successivamente ad una comoda selletta.
Si continua la salita evitando un breve tratto ostico tenendo leggermente la sinistra, lato di Coca, e quando si presentano i due canali citati nella descrizione storica si imbocca il ramo di sinistra che, con bella e facile arrampicata, conduce nuovamente in cresta. Il canale a metà diviene quasi camino e bisogna prestare attenzione ai tanti sassi mobili (II).
In questo frangente l’ambiente è orobico DOC!
All’uscita il crinale si fa quasi pianeggiante fino a giungere nei pressi di un’ulteriore bastionata che va salita su divertenti gradoni per circa una trentina di metri per poi tornare in cresta in vista della grande torre che domina lo Spigolo Sud (II).
Si scende rapidamente ad un piccolo intaglio e, tenendo tendenzialmente la destra, si risalgono altri gradoni fino a intercettare il camino obliquo che, con andamento da destra a sinistra, culmina in spaccatura; il passo chiave della via.
Si scala quindi il camino che in alto diventa fessura uscendo infine a sinistra su una placca poverissima di appigli (III+? A me sinceramente sembrava qualcosa in più!).
Alla base del camino noterete un vecchio chiodo fondamentale per l’assicurazione. Altri due chiodi, uno a metà e uno prima della placca finale con un friend incastrato proteggono l’esposta scalata su ottima roccia!
Il tiro è breve, sono 25 metri scarsi, ma assai impegnativo perciò è fondamentale allestire una buona sosta all’uscita (noi l’abbiamo fatta su spuntone non avendo trovato nulla in loco).
Dalla sosta si prosegue fino alla sommità della torre attraverso rocce meno inclinate (II+) abbastanza solide.
Dinanzi a noi si staglia un’ultima torretta alta una decina di metri che va salita stando leggermente sulla sinistra; passo facile ma piuttosto esposto (II).
Finalmente la vetta è visibile e si “conquista” dopo aver valicato altri due piccoli spuntoni con un ultimo sforzo su sfasciumi tipicamente orobici!
Il mare di nuvole e la giornata strepitosa hanno reso quest’ascesa memorabile.
#machebellochebellissimo (cit.)!
Qualche considerazione; la via a noi è piaciuta moltissimo ed anzi, se devo essere sincero, l’ho trovata più bella dello Spigolo/Cresta Est e della Cresta Nord. A pari merito forse la Cresta Ovest-Nord-Ovest; quella che sale dal Passo di Coca.
L’ambiente è strepitoso e il passo chiave non è assolutamente da sottovalutare. Volendo questo tratto è evitabile snaturando tuttavia il logico sviluppo dell’itinerario.
“Tutta la grande fascia può essere evitata, appoggiando, sotto la sua base, a sinistra, onde raggiungere e risalire, senza speciali difficoltà, il valloncello che sta tra la balza dello spigolo e un suo cospicuo sperone del versante di Coca. Alla sua sommità, si volge a destra verso la vetta”.
Per concludere: una corda da 30 metri basta e prima del tiro chiave, se proprio volete divertirvi, troverete pane per i vostri denti semplicemente seguendo integralmente il filo dello spigolo.
Con me Filippo che, come sempre del resto e dopo aver corso la sera prima, s’è mostrato in ottima forma!
Grazie a questa nuova avventura anche la stagione 2018 l’archivierò come una delle più belle di sempre.
Partiamo da Valbondione in compagnia del freddo respiro della notte che ci terrà compagnia fino al Rifugio Coca.
"Giunti al rifugio prendiamo un buon caffè da Fabrizio godendoci lo spettacolo dell’alba; la levataccia degli avvicinamenti notturni viene ripagata con quei pochissimi minuti di rara bellezza".
Più saliamo e più lo spettacolo comincia a svelarsi.
In basso noterete il guardiano della Presolana!
Erosione per ruscellamento superficiale... dice Filippo!
Dalla Bocchetta del Polledrino tre dei sei 'Giganti delle Orobie'.
Passi interessanti si alternano a tratti più semplici.
"Poco dopo si hanno davanti, appena sul lato occidentale, due canali, uno largo a destra e uno a sinistra più stretto, quasi a camino. Ci si arrampica benissimo per questo e si riprende il filo, per un tratto facilissimo, fino ad un’interruzione dello spigolo".
Un privilegio godere di questo spettacolo da un angolo remoto del Pizzo di Coca durante una giornata del genere!
La buona arrampicata gentilmente offerta dal canalino/camino di sinistra.
Per la salita abbiamo optato per una veloce conserva corta.
La Bocchetta del Camoscio da una prospettiva inedita.
Esposizione ne abbiamo?
La grande torre della Cresta Sud con il tiro chiave della via.
Bello atletico... per non dire altro!
Bello atletico... per non dire altro!
Spuntano i contrafforti della via normale con la conca del Barbellino immersa nel mare di nuvole.
La piccola bastionata prima della grande torre.
Viaggiamo tra scogli in un mare di... nuvole!
Viaggiamo tra scogli in un mare di... nuvole!
Il chiodo alla partenza del camino obliquo.
StartDancing.
StartDancing.
Filippo impegnato nel camino obliquo che in alto diventa fessura.
Non c'è limite al meglio; soprattutto quando il limite delle nuvole disegna un'emozione che difficilmente scorderemo!
Per l'uscita bisogna scalare la placca di sinistra.
Esposizione da cardiopalma all'uscita del camino.
Vietato guardare verso il basso!
Pure gli ultimi metri per raggiungere la sommità della torre non sono da sottovalutare.
Nettamente più facili del tiro nel camino ma comunque assai esposti.
Nessuna didascalia; lascio parlare lo scatto!
"Dinanzi a noi si staglia un’ultima torretta alta una decina di metri che va salita stando leggermente sulla sinistra; passo facile ma piuttosto esposto (II)".
I colori dell'autunno!
Dopo 2000 metri di dislivello finalmente s'intravede la vetta.
Buff... buff.
Il bacino artificiale del Barbellino celato dal mare di nuvole.
Tutto ci aspettavamo tranne uno spettacolo del genere!
Dal Pizzo di Redorta al Pizzo degli Uomini.
In pratica il cuore delle Orobie.
Ultimi risalti!
La giusta ricompensa dopo 2200 metri di dislivello.
Che spettacolooooo!
Che spettacolooooo!
(Tanto)³ ma proprio (Tanto)³ happy.
Al termine della traversata delle 6 Cime il Coca ci aveva accolto e avvolto in un mare di nebbie mentre oggi s'è riscattato.
Lo sguardo in direzione dell'anticima Nord del Pizzo di Coca.
Siamo soli e dopo tanta fatica ci gustiamo il regalo più bello.
Le Cime di Caronno con il Pizzo di Scotes; una settimana fa ero lassù.
Orobic DreamTeam all'attacco o, se meglio preferite, BimbiMinkia felici!
Giulietta e Romeo in versione moderna si godono il balcone più bello del mondo!
Buon autunno a tutti; l'estate è finita.
Alla grande!
🔝🔝🔝🔝🔝🔝👍👍👍👍👍👍👍👌👌👌👌👌👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏 oramai ho finito i complimenti. The best
RispondiEliminaGrazie Maurizio! :-)
EliminaSempre al Top.Aga😊
RispondiElimina:-) :-)
EliminaCiao Maurizio!!! Novità per l'uscita del libro??
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